IFF10 — 2009, la terza edizione

Hunger all'Irish Film Festa 2009
“Nel 2009 abbiamo mostrato sul grande schermo Michael Fassbender al pubblico italiano che non lo conosceva ancora.”

Susanna Pellis, direttore artistico

 

IRISH FILM FESTA, 3a edizione
27-29 novembre 2009

Eamon, Margaret Corkery (2009)
The Eclipse, Conor McPherson (2009)
Eden, Declan Recks (2008)
Hunger, Steve McQueen (2008)
Isolation, Billy O’Brien (2005)
Kings, Tom Collins (2007)
Kisses, Lance Daly (2008)
Prosperity, Lenny Abrahamson (2007) – miniserie
Pure Mule, Charlie McCarthy, Declan Recks (2005) – miniserie
The Magdalene Sisters, Peter Mullan (2002)

“Si vedranno storie normali che la cura della messa in scena fa sembrare straordinarie, e storie soprannaturali che la solidità della recitazione fa sembrare normalissime. Ci sarà anche – perché non poteva mancare – la storia terrena eppure sovrumana di Bobby Sands, un martirio che in Hunger di Steve McQueen diventa un’opera d’arte addolorata e potente”.

(dal catalogo della 3a edizione di IFF)

IFF10 — 2008, la seconda edizione

Laurence McKeown all'Irish Film Festa 2008
“Le lacrime di Laurence McKeown che ricorda Bobby Sands alla proiezione di H3.”

Susanna Pellis, direttore artistico

 

IRISH FILM FESTA, 2a edizione
8-11 dicembre 2008

Breakfast on Pluto, Neil Jordan (2006)
The Front Line, David Gleeson (2006)
Gabriel Byrne: Stories from Home, Pat Collins (2008)
Garage, Lenny Abrahamson (2007)
H3, Les Blair (2001)
Rocky Road to Dublin, Peter Lennon (1968)
Saviours, Ross Wihitaker e Liam Nolan (2008)
Six Shooter, Martin McDonagh (2005)
Small Engine Repair, Niall Heery (2007)
Chippers, Nino Tropiano (2008)

 
“Di questa giovane cinematografia e dei suoi grandissimi interpreti io sono alla continua scoperta, con un piacere che in occasione di Irish Film Festa vi invito a condividere”.

(dal catalogo della 2a edizione di IFF)

IFF10 — 2007, la prima edizione

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“Alla prima edizione di IRISH FILM FESTA abbiamo presentato December Bride di Thaddeus O’Sullivan, tuttora il mio film irlandese preferito”

Susanna Pellis, direttore artistico

 

IRISH FILM FESTA, 1a edizione
8-11 novembre 2007

Adam & Paul, Lenny Abrahmson (2004)
The Butcher Boy, Neil Jordan (1997)
December Bride, Thaddeus O’Sullivan (1989)
Disco Pigs, Kirsten Sheridan (2001)
The Honeymooners, Karl Golden (2004)
Mickybo & Me, Terry Loane (2005)
Omagh, Pete Travis (2004)
Pavee Lackeen – The Traveller Girl, Perry Ogden (2005)
Studs, Paul Mercier (2006)
The Tiger’s Tail, John Boorman (2006)

 
“I film del nostro festival affrontano temi sorprendentemente attuali e scelgono modi di rappresentazione diversissimi fra loro. Ma ciascuno di essi immerge in un’atmosfera profondamente e inconfondibilmente irlandese; e tutti insieme mostrano come questo cinema, uscito da decenni di colonizzazione artistica, rappresenti oggi appieno la propria specificità culturale risultando, al tempo stesso, attraente anche per il pubblico internazionale”.

(dal catalogo della 1a edizione di IFF)

Il programma di IRISH FILM FESTA 10

Il programma di Irish Film Festa 10

 

Giunge alla decima edizione IRISH FILM FESTA, il festival interamente dedicato al cinema irlandese che quest’anno si terrà dal 30 marzo al 2 aprile, come di consueto alla Casa del Cinema di Roma.

“In questi dieci anni abbiamo presentato il meglio del cinema irlandese contemporaneo, scegliendo film inediti nel nostro Paese, ma premiati all’estero da numerosi riconoscimenti; e avuto il privilegio di accogliere ospiti prestigiosi come Stephen Rea, Fionnula Flanagan, Lenny Abrahamson, Adrian Dunbar, e molti altri. Per questo, la decima edizione di IRISH FILM FESTA sarà un’edizione speciale, celebrativa del percorso finora compiuto e propulsiva per quello ancora da compiere”, commenta il direttore artistico Susanna Pellis.

Tra i lungometraggi in programma alla decima edizione di IRISH FILM FESTA, tutti in anteprima italiana, vedremo il documentario Bobby Sands: 66 Days di Brendan J. Byrne, dedicato ai sessantasei giorni di sciopero della fame che nel 1981 portarono alla morte di Bobby Sands nel carcere di Long Kesh. Il film analizza il valore simbolico e culturale del digiuno nel contesto storico-politico irlandese e si basa sui diari tenuti in carcere dallo stesso Bobby Sands, affidandone la lettura all’attore Martin McCann, atteso come ospite al festival: “Quelle parole mettono la sua voce al centro del film e ci portano nella sua mente – spiega il regista – l’unico posto nel quale Sands ha trovato la libertà”. 66 Days è stato presentato all’ultimo Galway Film Fleadh e al festival internazionale del documentario Hot Docs di Toronto.

Alla proiezione di 66 Days parteciperà anche il giornalista Riccardo Michelucci, autore del saggio di recente pubblicazione Bobby Sands. Un’utopia irlandese (Edizioni Clichy).

La storia dei Troubles nordirlandesi e la loro rappresentazione cinematografica in opere come Angel, Una scelta d’amore (Some Mother’s Son), Niente di personale (Nothing Personal), The Boxer, Hunger, e altre, saranno inoltre al centro di una conferenza che terrà al festival il prof. Martin McLoone (University of Ulster, Emeritus).

Martin McCann, che abbiamo visto l’anno scorso in The Survivalist di Stephen Fingleton, è anche interprete e co-regista del mockumentary Starz, uno dei cortometraggi in concorso che vede come protagonista uno straordinario Gerard McSorley (The Constant Gardener, Veronica Guerin), anche lui atteso a Roma. La sezione competitiva di IRISH FILM FESTA presenta quest’anno quindici corti — qui la selezione completa — che spaziano tra vari generi e tecniche di realizzazione (animazione, documentario, horror, thriller).

Il regista Ciarán Creagh, l’attrice protagonista Caoilfhionn Dunne (nel cast della serie Love/Hate) e ancora Gerard McSorley presenteranno invece il dramma In View: Ruth è un’agente di polizia che, incapace di elaborare il lutto per la perdita del figlio e del marito, sta smarrendo anche se stessa. Il suo senso di colpa è insopprimibile, e la spinge ad affrontare gli errori del passato in cerca di redenzione.

Vicenda drammatica anche per Mammal, scritto e diretto da Rebecca Daly e interpretato da Rachel Griffiths (nomination agli Oscar 1999 per Hilary and Jackie) e il giovane Barry Keoghan (Love/Hate): per Margaret la notizia della sparizione del figlio adolescente, che lei ha lasciato quando era piccolo, coincide con la decisione di ospitare Joe, un ragazzo senzatetto che ha trovato per strada, ferito. Mammal è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel 2016.

Sanctuary, opera prima di Len Collin, ha un’origine teatrale: alla base c’è il testo omonimo di Christian O’Reilly messo in scena dalla Blue Teapot Theatre Company, una compagnia di Galway formata da attori con disabilità intellettive. Protagonisti del film, che mantiene lo stesso cast della pièce, sono Larry e Sophie, due giovani innamorati: cosa può esservi di più naturale per loro che desiderare di passare del tempo insieme da soli? Ma Larry e Sophie non sono una coppia come le altre. E cercando di avere un po’ di intimità non stanno solo infrangendo le regole, stanno infrangendo la legge.

In The Flag di Declan Recks (il suo primo film, Eden, era all’IFF 2008) si torna a parlare  della Easter Rising, dopo il Centenario celebrato anche dal festival lo scorso anno, attraverso un’inedita chiave comica. Per Harry Hambridge (Pat Shortt), irlandese emigrato a Londra, va tutto storto. Tornato a casa per il funerale del padre, trova una dichiarazione secondo la quale sarebbe stato suo nonno ad issare la bandiera irlandese sul General Post Office durante la Rivolta di Pasqua del 1916. Bandiera che oggi si trova appesa, alla rovescia, in una caserma inglese. Stanco di subire umiliazioni, Harry è determinato, con l’aiuto di improbabili compagni (c’è anche Moe Dunford, visto all’IFF 2015 in Patrick’s Day di Terry McMahon), a recuperare quella  benedetta  bandiera. A Roma saranno presenti Declan Recks e lo sceneggiatore Eugene O’Brien.

Ispirato alla cronaca di un sequestro di cocaina per 440 milioni di euro al largo delle coste di Cork nel 2007, The Young Offenders di Peter Foott (miglior film irlandese al Galway Film Fleadh 2016) vede due ragazzi della zona, Conor e Jock, intraprendere un viaggio di 160 chilometri su due biciclette rubate nella speranza di trovare una balla di cocaina che a quanto pare è sfuggita alle forze dell’ordine. Una commedia dal ritmo frenetico, che in patria ha letteralmente spopolato. L’autore e regista Peter Foott sarà al festival e per l’occasione verrà proiettato anche il suo cortometraggio The Carpenter and His Clumsy Wife, menzione speciale alla Mostra di Venezia 2004.

Due sconosciuti svuotano i loro conti bancari, vendono i loro beni, e mettono il loro intero patrimonio in contanti in una borsa sportiva verde. Poi si recano in una località solitaria per battersi fino alla morte. Il vincitore seppellisce il perdente e si allontana due volte più ricco. È l’idea alla base di Traders, il film di Rachael Moriarty e Peter Murphy che vede come protagonisti Killian Scott (Love/Hate) e John Bradley (Game of Thrones). Piccoli ma significativi ruoli anche per Barry Keoghan e Caoilfhionn Dunne.

Due, infine, gli Irish Classic della decima edizione. Il primo è The General di John Boorman (1998), premiato per la migliore regia al Festival di Cannes: il generale del titolo è il criminale dublinese Martin Cahill, interpretato nel film da Brendan Gleeson. Noto per la spietatezza e per la meticolosità con la quale pianificava le azioni criminali, Cahill è stato raccontato nel dettaglio nel libro The General  del giornalista Paul Williams, dal quale è tratta la sceneggiatura del film. Il testo è stato pubblicato per la prima volta in Italia solo l’anno scorso da Milieu Edizioni per la collana Banditi senza tempo, parallelamente ad altri due volumi legati all’Irlanda: On the Brinks dell’ex militante dell’IRA Sam Millar e Bomber Renegade di Michael “Dixie” Dickson, ultimo prigioniero dell’IRA ad essere liberato, oggi organizzatore di concerti ed eventi sportivi.

The Boxer (1997) è invece l’omaggio di IFF al regista Jim Sheridan, che sarà per la prima volta ospite al festival per un incontro col pubblico. Di Sheridan, tre nomination agli Oscar (per la regia di Il mio piede sinistro e Nel nome del padre, e per la sceneggiatura di In America), verrà proposto anche il film più recente, Il segreto (The Secret Scripture), tratto dal romanzo omonimo di Sebastian Barry. Interpretato da Rooney Mara, Eric Bana, Vanessa Redgrave e Adrian Dunbar, Il segreto, già presentato alla scorsa Festa del Cinema di Roma, uscirà nelle sale italiane il 6 aprile distribuito da Lucky Red. Fa parte dell’omaggio a Sheridan anche The Carpenter and His Clumsy Wife, di cui il regista è la voce narrante.

Un’ulteriore parentesi letteraria sarà dedicata dal festival allo scrittore Dermot Bolger, protagonista di un incontro coordinato da John McCourt (Università di Macerata). Nato nel 1959 a Finglas, periferia nord di Dublino, Bolger è autore di romanzi, poesie e testi teatrali. Tra i suoi libri più noti, Verso casa (1997) e Figli del passato (2007), pubblicati in Italia da Fazi Editore.

Tre domande a… Paddy Cahill, regista di Seán Hillen Merging Views

Intervista a Paddy Cahill - Sean Hillen Merging Views - Irish Film Festa

 
Mentre crea i suoi bellissimi collage fotografici, l’artista Séan Hillen parla del suo lavoro e di una recente scoperta personale: Seán Hillen, Merging Views è un cortometraggio documentario che vedremo in concorso alla 10a edizione di Irish Film Festa (dal 30 marzo al 2 aprile, Casa del Cinema).

Ce ne parla il regista Paddy Cahill.

 

Perché hai scelto di realizzare un documentario su Seán Hillen?

Sono un ammiratore del lavoro di Seán Hillen da molto tempo, ma solo l’anno scorso, quando sono stato da lui per comprare una delle sue opere con l’intenzione di regalarla, ho capito di volergli dedicare un film. Così gli ho scritto per chiedergli se sarebbe stato disponibile a prendere parte a un documentario. Anche il passato di Seán è molto interessante, e meriterebbe un documentario a sé, ma per Merging Views sono stato particolarmente affascinato dalla casa/studio in cui crea i suoi splendidi lavori.

 

Tutto il film è ambientato in una piccola stanza: come hai lavorato sulla composizione delle inquadrature e sul montaggio?

In casa con Seán durante le riprese c’eravamo solo io e il direttore della fotografia Basil Al Rawi. Per me era molto importante avere una troupe ristretta, e comunque in quella stanza non c’era molto spazio! Ho deciso che Seán avrebbe dovuto parlare e rispondere alle domande solo mentre lavorava, per far sì che non sembrasse la classica intervista documentaristica. E poi in questo modo Basil poteva comporre delle inquadrature molto belle posizionandosi proprio alle spalle di Seán.

 

Quanto sono durate le riprese?

La pianificazione, a fianco del produttore Tal Green, è stata piuttosto lunga, ma le riprese vere e proprie sono durate appena una notte. Volevamo che gli spettatori provassero le nostre stesse sensazioni, come se una sera fossero capitati in questa casa molto particolare, su una qualunque via di Dublino, e si fossero fermati a guardare Seán creare una delle sue opere.

 

Tre domande a… Graham Cantwell, regista di Lily

Intervista a Graham Cantwell - Lily - Irish Film Festa

 
L’adolescente Lily affronta le insidie della vita scolastica in compagnia del suo amico Simon, eccentrico ma molto leale. Quando un equivoco con la bella e popolare Violet la costringe a subire un violento attacco, Lily è di fronte a una grande sfida.

Lily è un cortometraggio a tematica LGBT, già premiato al Galway Film Fleadh 2016, che vedremo in concorso alla 10a edizione di Irish Film Festa (30 marzo – 2 aprile, Casa del Cinema).

Ne abbiamo parlato con il regista Graham Cantwell, che è stato nostro ospite già nel 2014 con una bellissima masterclass di recitazione e con il lungometraggio The Callback Queen. La protagonista di quel film, Amy-Joyce Hastings, ha un piccolo ma importante ruolo anche in Lily.

 

Come hai scelto i giovani attori di Lily?

Abbiamo aperto un casting per giovani attori a Dublino, e la risposta è stata straordinaria. Ci ha dato la possibilità di incontrare alcuni dei migliori giovani interpreti del paese per i ruoli di Lily, Simon, Violet e Emer.

Appena Clara Harte è arrivata per sostenere il provino abbiamo capito subito di aver trovato la nostra Lily: c’è in lei una meravigliosa combinazione di intelligenza e vulnerabilità. Ho scelto invece Leah McNamara per la parte di Violet solo vedendo la sua foto: era perfetta. Speravo che sarebbe stata anche brava, e per fortuna lei e Clara si sono dimostrate fantastiche già durante l’audizione.

Per quanto riguarda Emer, la bulla della storia, Hallie Ridgeway ha fatto suo il personaggio fin dal primo ciak. Il casting per Simon è stato il più difficile. Abbiamo incontrato dozzine di giovani attori bravissimi, ma nessuno possedeva quelle particolari caratteristiche che cercavo per Simon. Dean Quinn è comparso proprio all’ultimo momento e ci ha salvati, riuscendo a cogliere tutte le qualità di Simon: il suo grande cuore, il suo spirito insolente, la sua natura protettiva.

Formato il cast, ci siamo dedicati alle prove, e in particolare abbiamo preparato con molta cura la scena dell’attacco a Lily. Clara e Dean hanno legato subito, ponendo la base per la buona riuscita del film. Sul set c’erano poi interpreti di lunga esperienza come Amy-Joyce Hastings e Paul Ronan, che hanno aiutato i ragazzi a migliorarsi e portare a termine un ottimo lavoro.

 

La storia contiene molti riferimenti alla vita scolastica e alle abitudini degli adolescenti: gli attori sono stati coinvolti anche nel processo di scrittura?

La sceneggiatura è stata scritta molto prima, però abbiamo lavorato a lungo sui dialoghi durante le prove, e, familiarizzando con i personaggi, gli stessi attori hanno dato il loro contributo facendoli completamente propri.

Ci siamo anche confrontati con associazioni giovanili e abbiamo fatto leggere la sceneggiatura sia a vari membri della comunità LGBT irlandese per avere un riscontro, sia ad alcuni ragazzi per essere sicuri che tutto suonasse autentico. Durante le riprese la sceneggiatura è stata ulteriormente adattata tenendo conto dei suggerimenti che venivano dagli attori.

 

La musica è molto presente in Lily e sottolinea spesso i momenti più carichi dal punto di vista emotivo: come hai lavorato con il compositore Joseph Conlan?

Conosco Joe da tempo, fin da quando abbiamo collaborato per The Callback Queen, e ormai abbiamo messo a punto un processo di lavoro che funziona piuttosto bene.

Lui vive a Los Angeles, quindi lavoriamo molto da remoto, via Skype e con le email. È difficile spiegare a parole quale effetto si vuole ottenere da un brano musicale, penso sempre a quella citazione di Elvis Costello secondo cui “parlare di musica è come ballare sull’architettura”. Con Joe discuto soprattutto di sensazioni ed emozioni, delle reazioni che vorrei gli spettatori avessero di fronte a certe scene, e Joe suggerisce gli strumenti da usare. Poi inizia a comporre, sovrapponiamo la musica alle sequenze del film e insieme decidiamo gli aggiustamenti da fare. Ha un orecchio straordinario e una grande capacità di comprendere il racconto, la prima versione dei suoi brani si avvicina sempre molto a quello che sarà poi il risultato finale, così le nostre conversazioni raramente toccano gli aspetti tecnici, ma si concentrano piuttosto su dettagli impalpabili, sulle sensazioni. Mi ritengo fortunato di avere Joe come collaboratore e spero di lavorare ancora con lui.

 

Tre domande a… Tristan Heanue, regista di Today

Intervista a Tristan Heanue - Today - Irish Film Festa

 
Un uomo si sveglia nella sua automobile, è disorientato, non ricorda come sia finito lì in mezzo al nulla: Today è uno dei cortometraggi in concorso alla 10a edizione di Irish Film Festa (dal 30 marzo al 2 aprile, Casa del Cinema).

Ne abbiamo parlato con il regista Tristan Heanue, che compare come attore in altri due corti selezionati per la competizione di quest’anno: Gridlock e Blight. In Today dirige invece gli straordinari John Connors e Lalor Roddy.

 

Le interpretazioni di John Connors e Lalor Roddy sono davvero potenti: come hai lavorato con loro su questi ruoli così impegnativi? E come mai hai scelto di non apparire nel film, pur essendo anche tu un attore?

Con John Connors avevo già discusso a lungo del personaggio, dal momento che lui faceva parte del progetto prima ancora che scrivessi la sceneggiatura: gli avevo proposto la scena iniziale e gli era piaciuta subito, così quando gli ho detto che mi sarei occupato della regia, ma non avrei recitato, mi ha fatto sapere che sarebbe stato felice di avere lui la parte. Quando siamo arrivati sul set John era già preparatissimo.

Con Lalor Roddy invece ho avuto a disposizione meno tempo, ci siamo incontrati solo il giorno prima dell’inizio delle riprese, ma conoscevo bene il suo straordinario talento d’attore ed ero convinto che avrebbe saputo far suo il personaggio ed interpretarlo nel migliore dei modi. Non abbiamo fatto prove, perché volevo conservare un senso di estraneità tra John e Lalor, e infondere così freschezza e spontaneità alle loro scene. Hanno dimostrato di avere un grande rispetto l’uno per l’altro, entrando in connessione a un livello profondo, tanto che a volte mi sembrava di barare perché non avevo praticamente bisogno di dirigerli, ma del resto è ciò che accade quando lavori con grandi attori: li collochi nel giusto ambiente e li lasci recitare.

Non ho mai pensato di essere adatto per interpretare il protagonista, fin dal primo momento ci ho visto John. Avevamo già lavorato insieme per un altro cortometraggio, e avevamo avuto la possibilità di parlare a lungo di salute mentale e delle nostre esperienze. Insomma, doveva essere lui. In questo modo mi sono anche potuto concentrare al massimo sulla regia, ci tenevo molto visto che per me era la prima volta.

 

Dove è stato girato il film?

A Derryinver, dalle parti di Letterfrack in Connemara, nella contea di Galway. La fattoria che si vede nel film è di mio padre e la strada passa proprio sotto la casa, insomma non abbiamo dovuto spostarci molto per raggiungere le location.

 

Puoi dirci qualcosa su Eimear Ennis Graham che ha curato la fotografia?

Eimear è stata importantissima, ho scelto di averla con me per questo progetto fin da quando ho deciso che mi sarei occupato della regia. Siamo amici e ammiro molto il suo lavoro, è stato fantastico collaborare con lei. Mi è stata di grande aiuto perché, come regista esordiente, avevo bisogno di una persona a cui poter fare qualunque domanda senza timore.

E vorrei citare anche Paddy Slattery, il produttore: ha creduto da subito nel progetto ed è riuscito a coinvolgere dei professionisti bravissimi. Sono stato fortunato ad averlo al mio fianco, mi ha dato fiducia anche nei momenti in cui tutto mi sembrava impossibile.

 

Tre domande a… Sinéad O’Loughlin, regista di Homecoming

Intervista a Sinéad O’Loughlin - Homecoming - Irish Film Festa

 
Un giovane, tornato da poco in Irlanda, è alla faticosa ricerca del suo posto nella vita. L’incontro con una persona amica gli fa sperare che qualcosa stia cambiando: Homecoming è uno dei quindici cortometraggi in concorso alla 10a edizione di Irish Film Festa (30 marzo – 2 aprile alla Casa del Cinema).

Ne abbiamo parlato con la regista Sinéad O’Loughlin.

 

Homecoming è stato girato nella contea di Wicklow: le tue scelte di regia sono state influenzate dal paesaggio?

Ho deciso fin dalle prime fasi di scrittura che la storia si sarebbe svolta nel Wicklow, perché vengo da lì, è il luogo che conosco meglio. Homecoming è il mio primo lavoro cinematografico, ho una formazione teatrale e scrivo racconti: con queste premesse, in effetti è strano che abbia scritto un cortometraggio tutto ambientato all’aria aperta!

Ho avuto la fortuna di ottenere dei finanziamenti dal Wicklow County Arts Office, che mi ha anche dato la possibilità di lavorare con il direttore della fotografia e montatore Daniel Keane. Dan ha colto subito il senso del mio progetto, l’ho capito da come ne parlava.

Volevamo mostrare la drammatica bellezza dell’ambiente rurale, ma anche, per contrasto, il duro lavoro che la terra richiede ogni giorno.

Un’altra ragione per girare a Wicklow è stata la possibilitò di usare la fattoria di mio padre come location per le riprese. Il paesaggio lì è meraviglioso e siamo stati anche piuttosto fortunati con il tempo atmosferico, che ha risposto bene alle nostre necessità. Il primo giorno, ad esempio, c’era questa nebbiolina fantastica e Dan ne ha approfittato cominciando immediatamente a girare quella che poi sarebbe diventata l’inquadratura iniziale del corto.

 

I dialoghi sono molto importanti nel film: ci racconti qualcosa del tuo processo di scrittura?

Amo il modo in cui noi irlandesi parliamo, le espressioni che usiamo, il nostro ritmo. Parto sempre dai dialoghi, anche quando scrivo racconti.

Homecoming è nato come testo teatrale composto da un solo atto: si intitolava Wake e l’ho scritto all’università nel 2009. Si trattava sostanzialmente di una conversazione tra Mick e Aoife in seguito a un lutto: Aoife sta per andare al college mentre Mick sta pensando di partire per l’Australia.

Amo molto anche gli adattamenti, così quando si è presentata la possibilità di realizzare un cortometraggio, ho pensato: perché non tornare dagli stessi personaggi, otto anni dopo, e vedere cosa è successo? Il tempo è passato, le loro vite hanno preso strade diverse, ma questo nuovo incontro li fa scoprire ancora molto legati alle proprie radici e al passato. Ero consapevole dell’importanza dei dialoghi, ci ho riflettuto molto. Così tanto che quando finalmente mi sono messa a scrivere, la prima bozza completa è venuta fuori di getto. Non mi era mai capitato prima.

A quella prima stesura è seguito un lungo lavoro di revisione, per togliere tutto il superfluo. La scrittura per i cortometraggi in questo senso è un esercizio utilissimo, Dan poi è stato irremovibile sulla durata del film e gli sono grata per questo. Anche perché, al cinema, bisogna lasciare spazio agli aspetti visivi e alle interpretazioni degli attori non si può essere troppo attaccati alla propria scrittura.

Tu, come autore, scrivi un dialogo in un certo modo, lo dirigi in un certo modo, ma poi gli attori possono introdurvi elementi completamente nuovi, ed è fantastico. Varie battute sono state riscritte direttamente sul set, se al momento di recitarle non suonavano abbastanza credibili. Volevo che tutto suonasse naturale, anche nella forma. E gli attori sono stati bravissimi. C’erano delle battute, in sceneggiatura, che non mi sembravano così importanti, e che invece ora sono le mie preferite proprio per come David Greene e Johanna O’Brien le hanno fatte proprie.

 

L’emigrazione sembra essere ancora una questione delicata in Irlanda.

Sì, ed è strano perché oggi spostarsi è molto più semplice, le persone vanno e vengono, è più facile mantenersi in contatto grazie a Internet, ma l’assenza di chi è andato via si percepisce ancora molto forte, soprattutto nei piccoli paesi. Io stessa ho un fratello che vive in Australia e una sorella nel Regno Unito. Tra l’altro mio fratello era tornato a casa, per poi partire di nuovo dopo un anno, proprio un paio di settimane prima che iniziassi a girare Homecoming. Confrontarmi con lui è stato fondamentale per la scrittura di Homecoming, anche considerando che lui ha sei anni meno di me e quindi le sue esprienze sono diverse dalle mie. Ho anche preso in prestito i suoi vestiti per David!

Io stesso sono emigrata in Canada per un periodo ma non mi trovavo bene. Sono partita nel 2007 e tornata l’anno successivo, quando le cose in Irlanda iniziavano a non andare bene economicamente: io tornavo e tutti gli altri si preparavano ad andarsene! È frustrante, senti la pressione di dover lasciare il tuo paese, e ascolti le storie di chi ce l’ha fatta, e di come la qualità della vita là sia migliore. Attraverso il film ho voluto esplorare proprio queste senzasioni. Nel caso di Aoife, lei se n’è andata per costruire una nuova vita e scappare dal dolore, ma si porta dentro la preoccupazione per la madre; Mick invece prova una profonda frustrazione, perché è rimasto indietro e se ne rende conto.

Tre domande a… Niamh Heery, regista di Pause

Intervista a Niamh Heery - Pause - Irish Film Festa

 
Una donna in stato confusionale arriva su un’isola per affrontare il proprio passato. Mentre riascolta vecchi nastri registrati in famiglia, l’ambiente che la circonda prende nuova vita: il dramma Pause è uno dei cortometraggi in concorso alla 10a edizione di Irish Film Festa (dal 30 marzo al 2 aprile alla Casa del Cinema di Roma).

Ne abbiamo parlato con la regista Niamh Heery.

 

Il sonore è molto importante in Pause: come hai lavorato su questo aspetto?

Quando Eva arriva sull’isola capiamo subito che per lei si tratta di un ritorno al passato, così ho voluto giocare con la struttura narrativa del film senza però ricorrere ai classici flashback. Un altro aspetto che ho dovuto tenere in considerazione durante la scrittura di Pause è stato il budget, praticamente inesistente: da un punto di vista logistico non potevo proprio permettermi di trattenere dei bambini e un padre sull’isola per tutta la durata delle riprese. Perciò ho dovuto ingegnarmi per trovare una soluzione creativa ed ecco l’idea delle vecchie audiocassette.

Penso che la nostalgia sia un elemento cinematografico molto potente, se usato nel modo giusto, e i suoni sanno agire a livello sensoriale per riportare alla mente dei ricordi. Molti di noi, da bambini si sono divertiti con le audioregistrazioni, quindi ho pensato che fosse una maniera efficace per suggerire quel senso di passato, di distacco temporale che stavo cercando. Abbiamo registrato le tracce audio con due bambini fantastici, cugini tra loro, Aobha Curran e Cian Lynch, mentre Alan Howley, che interpreta il padre, lo conoscevo già grazie a un precedente lavoro. Lui è padre anche nella vita, ed è stato bravissimo nel creare un rapporto paterno con i bambini, fondamentale per marcare il cambio di tono che avvertiamo nelle registrazioni della seconda parte.

 

Dove è stato girato il cortometraggio?

Su Inishbiggle Island, nella contea di Mayo sulla costa occidentale dell’Irlanda. Ho desiderato girare un film su quell’isola dalla prima volta che ci sono stata. I miei genitori hanno comprato la piccola casa che vediamo nel film diversi anni fa, e a quel tempo Inishbiggle aveva ventisette abitanti, oggi ridotti a meno di venti a causa del progressivo invecchiamento. Nella zona si parla prevalentemente gaelico e il paesaggio mantiene un aspetto grezzo, incontaminato. Le persone che vivono lì sono state molto accoglienti con la troupe e Mícheál, che lavora realmente come traghettatore sull’isola, è stato davvero carino ad accettare di prendere parte al film. Tutto molto reale!

 

Come hai scelto Janine Hardy per il ruolo di Eva?

Avevo già lavorato con Janine in altre tre occasioni. Ci siamo conosciute grazie a un provino per un video molto delicato che stavo girando sul tema delle violenze domestiche, e successivamente l’ho voluta in Our Unfenced Country, il primo corto che ho realizzato per RTÉ.

Come attrice, Janine ama andare a fondo, discutere a lungo e, se necessario, cambiare il suo approccio nei confronti del personaggio. Per me è fantastico, perché mi permette di individuare i punti da migliorare in sceneggiatura ancora prima di iniziare le riprese. Mi piace lavorare con gli stessi attori più volte, se sono bravi e se ne ho la possibilità. Sul set non è sempre facile trovare il tempo per costruire la fiducia necessaria tra attore e regista, soprattutto se si affrontano argomenti delicati: in questo senso, decidere da subito che sarebbe stata Janine a recitare la parte di Eva mi è stato di grande aiuto.

 

Il manifesto di Irish Film Festa . 10

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2d_Map_of_Ireland-_first_Irish_postage_stamp«Siamo arrivati alla decima edizione del festival, ci piaceva segnalare la ricorrenza fin dal manifesto. Per farlo, abbiamo pensato a una specie di francobollo celebrativo; e per modello abbiamo preso il primo francobollo emesso dal Free State irlandese nel 1922, subito dopo l’indipendenza dall’Inghilterra. Opportunamente adattato, anche nel colore, è diventato la nostra immagine per il decennale.»

Susanna Pellis, direttore di Irish Film Festa

 

Bobby Sands: 66 Days in anteprima italiana all’Irish Film Festa

Il documentario Bobby Sands: 66 Days alla decima edizione di Irish Film Festa

 

Giunge alla decima edizione Irish Film Festa, il festival interamente dedicato al cinema irlandese che quest’anno si terrà dal 30 marzo al 2 aprile 2017, come di consueto alla Casa del Cinema di Roma.

Tra i lungometraggi in programma quest’anno vedremo in anteprima italiana il documentario Bobby Sands: 66 Days di Brendan J. Byrne, dedicato ai sessantasei giorni di sciopero della fame che nel 1981 portarono alla morte di Bobby Sands nel carcere di Long Kesh.

Il film analizza il valore simbolico e culturale del digiuno nel contesto storico-politico irlandese e si basa sui diari tenuti in carcere dallo stesso Bobby Sands, affidandone la lettura all’attore Martin McCann, atteso come ospite al festival: “Quelle parole mettono la sua voce al centro del film e ci portano nella sua mente – spiega il regista – l’unico posto nel quale Sands ha trovato la libertà”. 66 Days è stato presentato l’anno scorso al Galway Film Fleadh e al festival internazionale del documentario Hot Docs di Toronto.

Alla proiezione di 66 Days parteciperà anche il giornalista Riccardo Michelucci, autore del saggio di recente pubblicazione Bobby Sands. Un’utopia irlandese (Edizioni Clichy).

La storia dei Troubles nordirlandesi e la loro rappresentazione cinematografica in opere come Angel, Una scelta d’amore (Some Mother’s Son), Niente di personale (Nothing Personal), The Boxer, Hunger, e altre, saranno inoltre al centro di una conferenza che terrà al festival il prof. Martin McLoone (University of Ulster, Emeritus).

Martin McCann, che abbiamo visto l’anno scorso in The Survivalist di Stephen Fingleton, è anche interprete e co-regista di Starz, uno dei cortometraggi in concorso. La sezione competitiva di Irish Film Festa presenta quest’anno quindici corti che spaziano tra vari generi e tecniche di realizzazione (animazione, documentario, horror, thriller — qui l’elenco completo delle opere selezionate).

 

LA SCHEDA DEL FILM

BOBBY SANDS: 66 DAYS (Irlanda del Nord, Irlanda, USA, Danimarca, Svezia 2016) – Documentario

Regia: Brendan J. Byrne; sceneggiatura: Brendan J. Byrne; fotografia: David Barker; montaggio: Paul Devlin; musica: Edith Progue; animazioni: Peter Strain, Ryan Kane; scenografia: David Craig; produttori: Trevor Birney, Brendan J. Byrne; produttore esecutivo: Alex Gibney; produzione: Fine Points Films, Cyprus Avenue Films. Durata: 105’

Voce narrante di Martin McCann

Nella primavera del 1981, lo sciopero della fame portato avanti per sessantasei giorni dall’attivista repubblicano Bobby Sands attirò l’attenzione del mondo sulla causa nordirlandese. Il documentario 66 Days prende in esame la straordinarietà della vita e della morte di Bobby Sands, a trentacinque anni dal suo estremo sacrificio. Il film fa uso di testimonianze dirette, materiali d’archivio inediti e animazioni, per ricostruire la genesi di una grande figura di martire e, parallelamente, un momento di grande cambiamento nella storia irlandese del ventesimo secolo, le cui conseguenze si fanno sentire ancora oggi.

Brendan J. Byrne è un filmmaker di lunga esperienza, specializzato in documentari e lungometraggi. Per più di vent’anni ha realizzato documentari televisivi di altissimo livello in Irlanda e nel Regno Unito, per la BBC, C4 e RTÉ. Tra i suoi lavori Breaking the Silence (2010), che affronta il tema dell’elaborazione del lutto nelle famiglie colpite da un suicidio. Jump, il suo primo lungometraggio da produttore, è stato selezionato dal prestigioso Toronto International Film Festival nel 2012. 66 Days è il primo documentario del quale firma la regia.

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