Tre domande a… Elif Boyacioglu, regista di The Teacup

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C’era una volta un uomo che aveva paura di uscire: è l’incipit di The Teacup, il cortometraggio animato di Elif Boyacioglu che vedremo in concorso all’edizione 2016 di Irish Film Festa.

The Teacup è stato realizzato in animazione 2D dagli studenti della Irish School of Animation del Ballyfermot College of Further Education.

Ecco la nostra breve intervista a Elif.

 

Puoi dirci qualcosa riguardo alla tecnica d’animazione?

L’animazione preliminare è stata realizzata con carta e matita, poi elaborata al computer con un plug-in di Adobe Photoshop sviluppato da Stephane Baril che si chiama Anim_Dessin, realizzando le animazioni di raccordo e colorando i fotogrammi. Gli effetti visivi (ad esempio i piccoli bagliori che vediamo in alcune scene) sono stati fatti al computer in 2D, sempre con Anim_Dessin.

 

Perché le tazze e i servizi da tè sono così importanti nel definire le relazioni tra i personaggi?

Ho sempre avuto intenzione di suggerire un legame molto stretto tra l’uomo e la sua tazza da tè, che prima appartiene a sua nonna e poi a lui. La tazza in un certo senso simboleggia lui stesso, così quando la tazza inizia ad essere colpita e influenzata da ciò che accade, comprendiamo che è così anche per l’uomo. Per quanto riguarda il servizio da tè della donna, ovvero l’unica ragione che lo spinge ad aprire la porta, volevamo che fosse il più possibile diverso dal suo, quindi robusto e spigoloso.

 

Senza fare spoiler, ci piacerebbe sapere qualcosa di più sul finale: sorprendente, ironico, e molto importante per definire il significato della storia.

La conclusione della storia è stata la prima cosa che ho scritto. Sapevamo che la fine del film sarebbe stata percepita in modi differenti dalle varie persone che lo avrebbero visto; qualcuno potrebbe ritenerlo un finale crudele, altri potrebbero trovarlo divertente, oppure positivo. Per me è sempre stato divertente, in un certo senso, per questo abbiamo tentato di dare al corto un tono da commedia. In definitiva, la vedo come una conclusione positivo, soprattutto pensando a ciò che accade alla tazza.

 

Tre domande a… Hannah Quinn, regista di My Bonnie

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Un uomo e una donna, al mare, si trovano senza via d’uscita e sono costretti ad affrontare la distanza che li separa: My Bonnie, diretto da Hannah Quinn, è uno dei cortometraggi live action in concorso all’edizione 2016 di Irish Film Festa.

Hannah è la figlia del grande filmmaker irlandese Bob Quinn (che ha partecipato all’Irish Film Festa due anni fa con il suo documentario Atlantean) e ha lavorato come assistente alla regia per tantissimi film, tra cui Il Gladiatore, Black Hawk Down e The Martian di Ridley Scott. My Bonnie è la sua opera prima.

 

Il paesaggio ha un ruolo di primo piano nella storia di My Bonnie: dove avete girato? E come hai lavorato insieme al direttore della fotografia Tim Fleming per filmare la bellezza di quella costa?

Abbiamo girato My Bonnie in Connemara, nella Contea di Galway. La roccia, Carraig Leathan, si trova su una spiaggia vicino a un villaggio chiamato Carraroe, dove andavo a nuotare quand’ero piccola. Ho trascinato Tim, che è anche mio marito, su quella spiaggia al sorgere del sole. Abbiamo assistito a un’alba spettacolare (vedi foto sotto) e insieme abbiamo deciso che avremmo girato il film proprio lì.

Due settimane dopo, la troupe e gli attori – persone di grande talento e generosità – ci hanno raggiunti per le riprese, e ci siamo sistemati tutti dai miei genitori. Dal momento che la spiaggia è isolata e non avevamo budget per l’illuminazione, abbiamo potuto girare solo con la luce naturale all’alba e al tramonto. I membri della troupe si alzavano alle quattro del mattino per aspettare il sorgere del sole, poi tornavano a casa per riposarsi e fare colazione. Io, Tim e lo scenografo restavamo a sorvegliare il set. Tutti gli altri tornavano poi nel pomeriggio per la luce della sera e qualcuno approfittava anche per fare una nuotata. Siamo stati molto fortunati perché è stato quasi sempre bel tempo, tranne un pomeriggio in cui la pioggia aveva reso la roccia troppo scivolosa. Così abbiamo interrotto le riprese e siamo andati al pub…

 

Liz Quinn, che interpreta Sadie, è anche la sceneggiatrice: come hai lavorato sui dialoghi con lei Tom Sullivan?

Liz ha scritto dei dialoghi splendidi, lirici, e con grande attenzione al ritmo: è stato bellissimo ascoltare lei e Tom recitare quelle battute e farle proprie. I perfetti tempi comici di Tom hanno poi arricchito quella che è una semplice, ma molto profonda, storia di una coppia che sta affrontando una separazione.

 

Puoi dirci qualcosa sulla colonna sonora?

Per quanto riguarda le scelte musicali, ho ascoltato vari estratti dalla top 50 degli album irlandesi del 2014, finché non mi sono imbattuta nelle note giuste. Next Time Round è il brano finale di un album degli Hidden Highways, un fantastico due folk. La canzone mi ha colpita immediatamente, era perfetta.

 
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Tre domande a… Susan Collins e Brian O’Brien, registi di Lying Down

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Lying Down, uno dei cortometraggi live action in concorso all’Irish Film Festa 2016, mette in scena una situazione che è al tempo stesso fisica e metaforica: la vita di Will avrebbe bisogno di uno slancio; purtroppo, però, Will non riesce proprio a muoversi e Alanna non sa capire quale sia il suo problema. Come potrà aiutarlo se non è in grado di comprenderlo? Will resterà nello stesso posto per sempre?

Ecco le nostre domande ai due registi, Susan Collins and Brian O’Brien.

 

Come avete lavorato, a fianco degli sceneggiatori, su questa storia molto particolare?

Gli sceneggiatori Paul McCarrick e Nikolas Fitzgerlad ci hanno contattati in occasione del concorso indetto dall’OFFLline Film Festival di Birr (Offaly), siamo stati felici e lusingati di poter collaborare con loro. Abbiamo anche avuto la fortuna di poterli avere al nostro fianco per i provini, così da mettere a punto la versione finale della sceneggiatura. Abbiamo chiesto agli attori di provare le stesse battute associandole a emozioni diverse – è sorprendente notare come il significato delle battute cambi sulla base della relazione che si stabilisce tra due personaggi.

Questo processo laboratoriale è stato un ottimo sistema sia per gli sceneggiatori, che hanno potuto rendersi conto di quali battute funzionavano e quali no, sia per noi, che abbiamo potuto comprendere meglio quale tipo di relazione instaurare tra Will e Alanna. All’inizio i due protagonisti erano persone molto simili che vivevano problemi altrettanto simili. Ma alla fine ci è parso più realistico – e interessante – rappresentarli come persone diverse che non riescono a capirsi, pur essendo molto legate l’una all’altra.

La storio di Lying Down affronta un argomento nel quale tanti giovani irlandesi possono riconoscersi, quella sensazione di smarrimento dopo la conclusione degli studi, ma abbiamo cercato, sempre insieme agli sceneggiatori, di non rendere il tono troppo deprimente, ma anzi umoristico.

 

Come avete scelto gli attori principali, Matt Burke and Hannah O’Reilly?

Quando possibile, abbiamo condotto i provini a coppie, per valutare la chimica tra gli attori. Avevamo diverse opzioni valide e abbiamo scelto Matt e Hannah perché sono attori di grande talento, capaci di stabilire una forte sintonia reciproca. Hanno fatto un ottimo lavoro nel mostrarci il modo in cui i personaggi si infastidiscono e si confondono l’uno con l’altra, lasciando però trasparire l’affetto che li lega. Entrambi hanno dimostrato grande dedizione al progetto, impegnandosi tantissimo.

 

Dove è stato girato il film?

Abbiamo girato Lying Down nella splendida cittadina storica di Birr, nella Contea di Offaly. Lì abbiamo trovato una stradina fiancheggiata da un muro coperto d’edera, perfetto per racchiudere l’azione in un piccolo spazio. Su quella stradina passavano tante persone, e il loro passo svelto contrastava benissimo con l’immobilità di Will. Gli abitanti di Birr sono stati molto accoglienti e amichevoli, e siamo felici di aver incluso alcuni di loro (tra cui un gattino!) nelle riprese. Trovare il modo giusto di girare questa piccola storia non è stato semplice, ma sicuramente molto divertente! Non avevamo molto tempo, ma la limitazione di dover girare tutto in un’unico luogo ci ha aiutati a concentrarci e a tirare fuori il meglio da sceneggiatura e attori.

Tre domande a… Vincent Gallagher, regista di Love is a Sting

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A casa di Harold Finch, uno scrittore di libri per bambini che sta attraversando una crisi, arriva un’ospite inaspettata: una zanzara di vent’anni, molto intelligente, che si chiama Anabel. Harold e Anabel sono i protagonisti di Love is a Sting, il cortometraggio diretto da Vincent Gallagher che vedremo in concorso all’Irish Film Festa 2016.

Ad interpretare Harold è Seán T. Ó Meallaigh, che all’Irish Film Festa vedremo anche negli episodi della serie televisiva 1916 Seachtar na Cásca, dove veste i panni di Seán Mac Diarmada, e nel western recitato in gaelico An Klondike. Seán sarà al festival in compagnia di Dathaí Keane, regista di Seachtar na Cásca e An Klondike.

In Love is a Sting troviamo anche un altro attore irlandese: il grande Ciarán Hinds come voce narrante; la sceneggiatura è invece di Benjamin Cleary, che quest’anno ha vinto un Oscar con il cortometraggio Stutterer.

Ecco le nostre tre domande a Vincent Gallagher.

 

Una zanzara è una protagonista decisamente insolita: come hai lavorato a fianco dello sceneggiatore Benjamin Cleary nella creazione del personaggio di Anabel?

Tutti vedono le zanzare come insetti molesti. A me e Ben interessa molto il concetto di percezione: spesso le persone giudicano i libri dalla copertina, mentre noi volevamo mostrare che quando guardi qualcosa da vicino riesci a vedere cosa c’è oltre la superficie.

Era importante che anche Harold, come chiunque altro, inizialmente considerasse Anabel un insetto molesto: solo quando ci avviciniamo per inquadrarla in primo piano vediamo il suo vero volto. Anable ha una sua personalità, ha vissuto tra gli umani, ne è affascinata e ne ha appreso anche certi comportamenti.

 

Perché hai scelto Ciarán Hinds come Narratore?

Ciarán Hinds ha trasmesso un grande calore alla narrazione. Il film stesso è, in un  certo senso, una storia contenuta in un libro, quindi volevamo un narratore che avesse una gravitas particolare nella voce. E le qualità della voce di Ciarán ti fanno immediatamente desiderare di ascoltarlo leggere una storia. Quando l’abbiamo contattato, Ciarán era in scena a Londra come Claudius nell’Hamlet con Benedict Cumberbatch, e ha accettato subito. Così sono andato a Londra per la registrazione.

 

Dove è stato girato il film?

Non volevamo che l’ambientazione fosse legata a un luogo o un tempo specifico, così abbiamo girato gli esterni dell’appartamento di Harold in un vecchio caseggiato vittoriano, legandoli poi digitalmente agli interni girati invece in un’altra zona di Dublino.

 

Tre domande a… Michael Lavers, regista di Joseph’s Reel

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Joseph è un uomo anziano a cui, poco prima di morire, viene data la possibilità di rivivere un giorno della sua vita.: Joseph’s Reel, diretto da Michael Lavers, è uno dei dieci cortometraggi live action in concorso all’edizione 2016 di Irish Film Festa.

Joseph’s Reel è stato girato in pellicola 35mm e vede nel cast Robert Hardy (Ragione e sentimento, Harry Potter), Alice Lowe (Hot Fuzz, Killer in viaggio), Oliver Tilney e Ella Road. The film world premiered at Palm Springs ShortFest in June 2015.

In questa intervista, Michael ci svela che al momento sta lavorando alla sceneggiatura di un lungometraggio a partire proprio da questo corto.

 

In Joseph’s Reel il cinema e il suo linguaggio sono una metafora del viaggio nel tempo e della sua manipolazione: puoi dirci qualcosa su questo aspetto?

È un punto di vista interessante, e ora mi domando se tutto il film non sia altro che una fantasia manipolatoria!

La presenza dello schermo cinematografico e della sceneggiatura, nel film, portano naturalmente a questo tipo di paragoni. Tuttavia, per me era più interessante l’accostamento tra il cinema e i nostri ricordi. Nel film, Joseph è chiamato a rivivere quel giorno seguendone la sceneggiatura, ma quella sceneggiatura da dove viene? Si tratta di una registrazione accurata di ciò che è davvero accaduto (come appunto in un viaggio attraverso il tempo), o è una sceneggiatura soggettiva basata sui ricordi di Joseph?

Perché in un certo senso, quando ricordiamo, facciamo cinema — prendiamo musica, immagini, frasi ed emozioni, e le accostiamo (oppure le manipoliamo!) per formare qualcosa che abbia un senso. e tutto diventa ancora più relativo se pensiamo a quanto sia fallibile la memoria, e quanto i ricordi possano modificarsi col passare del tempo. Penso sia un aspetto molto interessante, e sto cercando di metterlo al centro della versione lungometraggio di Joseph’s Reel che sto scrivendo (ecco che butto lì spudoratamente un quale-sarà-il-mio-prossimo-progetto).

 

Come hai scelto i due Joseph?

Insieme al mio produttore Collie McCarthy (che parteciperà al vostro bel festival) speravo di riuscire a ingaggiare un attore noto per interpretare il Vecchio Joseph, così abbiamo mandato la sceneggiatura ad alcuni importanti caratteristi britannici. Non riusciamo a crederci quando Robert Hardy ci ha detto che era interessato al ruolo. Sono cresciuto guardando in tv le repliche Creature grandi e piccole, era un sogno poter lavorare con lui. Avevo anche un po’ paura, ma solo per cinque minuti — Robert è l’attore più dolce e attento che potessi desiderare.

Dopo aver coinvolto Robert, ci siamo messi alla ricerca di un Giovane Joseph che gli somigliasse, usando come riferimento le sue foto nella serie anni 60 della BBC Enrico V. Alla fine però l’attore che abbiamo scelto, Oliver Tilney, non assomiglia granché a Robert! Oliver però è stato così bravo e credibile al provino da non lasciarci altra scelta. Aveva già esperienze sia cinematografiche sia teatrali, ed è riuscito a portare nel personaggio la fisicità e l’agilità di cui avevamo bisogno, insieme a un grande talento.

 

Dove è stato girato il film?

Abbiamo girato i flashback in un cottage nel Surrey, a sud di Londra — ci sono grandi spazi aperti e il nostro scengorafo ha dovuto lavorare molto per costruire un’atmosfera anni 50. Le scene nella sala di proiezione invece sono state girate nei Riverside Studios di Hammersmith, a Londra. Quel posto è stato demolito qualche mese dopo (lo stanno ristrutturando), penso che siamo stati gli ultimi a girare lì. Per gli sterni poi siamo stati molto fortunati: un bellissimo week-end di sole tra due temporali — è l’estate inglese!

 

Tre domande a… Matthew Darragh, regista di An Ode to Love

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An ode to Love, diretto dal filmmaker di origine neozelandese Matthew Darragh, è uno dei cortometraggi animati in concorso all’edizione 2016 di Irish Film Festa.

Nel corto vediamo un uomo, solo su un’isola deserta, sperimentare gli alti e bassi dell’amore romantico quando la marea gli porta un’inaspettata compagnia.

An Ode To Love ha vinto come miglior cortometraggio animato irlandese al Foyle Film Festival 2014, dov’è stato presentato in anteprima, ed è stato proiettato l’anno scorso al Galway Film Fleadh.

 

Come hai inventato questa storia così originale e il suo ironico titolo?

Il film parla di un uomo che si innamora di un bastone su un’isola deserta. L’inizio della loro relazione è fantastico, ma poi tutto comincia ad andare molto male. La definirei una tragedia romantica!

Ho scritto la storia quando vivevo in Spagna, un periodo nel quale sembrava che chiunque intorno a me stesse affrontando ogni tipo di dramma sentimentale. Ho cominciato a chiedermi quanti di questi drammi siano incoraggiati o addirittura creati da noi stessi, e quanto l’immagine che abbiamo del partner sia una proiezione dei nostri desideri, soprattutto nella fase romantica dell’innamoramento. La storia del corto ha preso forma intorno a queste idee. Anche se il bastone è solo un vecchio bastone, il nostro eroe in sua compagnia riesce a vivere l’amicizia, l’amore, fino a ritrovarsi con il cuore spezzato.

Sì, l’“amore” nel titolo fa riferimento a un particolare tipo d’amore. Un amico mi ha detto che avrei dovuto intitolare il film “Un’ode alle dinamiche di tira-e-molla e proiezione psicologica insite nell’amore romantico” ma non suonava molto bene.

 

Quali tecniche di animazione avete usato?

Il corto è in CGI, abbiamo usato il software Maya. Ho avuto la fortuna di realizzarlo in un grande studio, la Brown Bag Films a Dublin. Insieme al gruppo interno ci ho lavorato per circa un anno, nei ritagli di tempo che restavano dal lavoro principale sulle serie televisive in produzione alla Brown Bag, mentre una parte dell’animazione e dell’illuminazione è stata affidata a laboratori esterni. Un equilibrio delicato, ma tutti hanno dato il massimo , e penso che questo si noti guardando il film. Sono grato ai miei colleghi, il risultato è migliore di quanto potessi immaginare!

 

La musica ha un ruolo importnate in An Ode to Love: come hai lavorato con il compositore Stefan French?

Il Filmbase e la RTÉ, che hanno finanziato il film, ci hanno dato la possibilità di far scrivere la musica a un giovane e bravissimo compositore, Stefan French, e poi di farla eseguire dalla RTÉ Concert Orchestra.

L’intervento di Stefan è stato fondamentale. Avevo in mente una colonna sonora un po’ strana, che comprendesse anche musica popolare francese degli anni 60 e 70, mentre Stefan mi ha suggerito un approccio più classico per sfruttare al massimo le possibilità dell’orchestra, e penso sia stata un’ottima idea. L’esecuzione orchestrale dà al film molto più pathos.

Ascoltare un’orchestra di 42 elemento suonare la nostra musica è stata un’esperienza speciale. Hanno praticamente letto la partitura una sola volta e poi l’hanno registrata! Il lavoro sulla musica è stato portato a termine nelle prime fasi della produzione, e ha davvero alzato il livello, donandoci grande ispirazione.

Tre domande a… Andy e Ryan Tohill, registi di Insulin

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Andy e Ryan Tohill sono i registi di Insulin, uno dei cortometraggi live action in concorso all’Irish Film Festa 2016.

La sceneggiatura di Insulin è di Stephen Fingleton, regista e sceneggiatore del lungometraggio drammatico d’ambientazione post-apocalittica The Survivalist, anche questo in programma all’Irish Film Festa. Insulin, The Survivalist e un altro cortometraggio, Awaydays di Michael Lennox (Boogaloo & Graham), sono ambientati nello stesso oscuro e violento mondo distopico.

Insulin racconta la storia di un uomo che, rinchiuso in una farmacia fatiscente, cerca di garantire la sopravvivenza della moglie diabetica grazie alle poche dosi di insulina rimaste e barattando medicine all’esterno in cambio di cibo. Del cast fanno parte Barry Ward (Jimmy’s Hall), Tara Lynne O’Neill, Ciaran Flynn e Sophie Harkness.

 

Insulin fa parte di un progetto più ampio che include che The Survivalist e Awaydays: potete dirci qualcosa di più su questo mondo narrativo concepito da Stephen Fingleton?

Il mondo creato da Stephen Fingleton non ha a che fare solo con il crollo della società ma anche con il potere della natura che si reimpadronisce dell’ambiente, ormai in decadimento, creato dall’uomo.

Con Insulin abbiamo voluto confrontarci con la visione di Survivalist secondo una prospettiva diversa, ovvero eliminando completamente la natura dal film. La storia qui infatti è ambientata in un contesto urbano, uno spazio chiuso e oppressivo. La rovina del mondo esterno non viene mai mostrata e i personaggi si aggrappano a un’impossibile speranza di sopravvivenza dall’interno della loro farmacia ormai sfornita.

 

Come avete lavorato con gli attori su una storia così impegnativa dal punto di vista emotivo?

Le riprese sono durate due giorni e così non c’è stato molto tempo per provare, ma la sceneggiatura di Stephen era scritta in modo così brillante, nella sua scarna semplicità, da delineare con estrema chiarezza ogni personaggio. Gli attori sapevano che il tema del film era la sopravvivenza ad ogni costo, a quel punto si trattava solo di farli entrare nel giusto stato mentale. Il Trader (l’uomo che si presenta alla farmacia in cerca di insulina, ndr) rimane per quasi tutto il tempo fuori campo, quindi sempre staccato dagli altri personaggi. Questa distanza, unita alla mancanza di familiarità, è stata molto importante per le loro interpretazioni, dal momento che tutto il film ruota sul fidarsi o meno di un estraneo.

 

Dove è stato girato il film?

Era necessario un grande lavoro di scenografia per rendere credibile agli occhi del pubblico questa società in decadenza, e tutto doveva risultare chiaro da un paio di stanze: in definitiva ci servivano quattro mura e un soffitto. Ma doveva essere un ambiente che potevamo modificare senza timore di rovinarlo, quindi era fuori discussione utilizzare una vera farmacia. Poi ci è venuto in mente il vecchio locale del fornaio, ormai vuoto da una decina d’anni, che si trova proprio di fronte alla casa della nostra famiglia a Belfast, ed è proprio lì che siamo finiti per le riprese. Girare nel quartiere della nostra infanzia, lo stesso dove siamo cresciuti realizzando piccoli film con i nostri amici, ci ha trasmesso uno strana nostalgia.

Tre domande a… Paul McGuigan, regista di Girona

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Paul McGuigan è il regista di Girona, uno dei cortometraggi in concorso all’edizione 2016 di Irish Film Festa.

 
Girona vede come protagonisti l’attore scozzese John Hannah (Quattro matrimoni e un funerale, La mummia) e l’attrice nordirlandese Séainín Brennan (The Fall).

In una lunga notte di tempesta, l’incontro con una donna misteriosa (Brennan) in uno strano hotel costringe un uomo solitario (Hannah) a fare i conti col proprio passato…

 

Dove è stato girato il corto?

In un hotel di lusso nel Cathedral Quarter di Belfast, un labirinto di strade e stradine laterali intorno alla cattedrale di Sant’Anna. Abbiamo girato nel giorno di San Patrizio, quando sapevamo che le strade sarebbero state affollate di gente in festa: in questo modo l’albergo sarebbe diventato un luogo etereo, fuori dal mondo. Non è stato facile trovare l’hotel adatto perché ci serviva una suite con stanze comunicanti, e soprattutto un’atmosfera che rispondesse alla nostra idea di messa in scena.

 

Come hai scelto John Hannah per il ruolo di Hart?

Non immaginavamo proprio di riuscire a coinvolgere un attore del calibro di John Hannah nel nostro progetto, dopotutto era solo un cortometraggio! Con il produttore, Eamonn Devlin, ho iniziato a stilare un elenco di possibili nomi, e ci siamo chiesti: in un mondo ideale, chi vorremmo per interpretare Hart? Ad entrambi è venuto in mente John Hannah, ma naturalmente l’abbiamo subito scartato perché ci sembrava impossibile.

Più tardi ci siamo messi in contatto con l’agente di un altro attore al quale eravamo interessati, casualmente si trattava della stessa agente di John Hannah e ci ha chiesto se poteva fargli avere la sceneggiatura. Il giorno dopo John mi ha telefonato per dirmi che copione e personaggio gli erano piaciuti moltissimo, ed era davvero interessato a quella parte. È venuto a Belfast per quattro giorni e si è rivelato fantastico, generoso, colto e, cosa più importante, molto divertente («great craic», ndr).

 

Da regista, sei particolarmente attento ai dettagli: come hai lavorato sull’aspetto visivo della storia?

Il film è piuttosto claustrofobico, dal momento che è ambientato in una stanza di hotel: ogni movimento di macchina diventa un lusso, e ogni dettaglio rivela così qualcosa dei personaggi e della storia. Hart bada alla sostanza: ecco quindi il vecchio rolex del padre che porta con fierezza al polso, il rasoio d’argento che manda riflessi di luce nel bagno buio in cui si rade e che con il suo suono affilato rompe il silenzio.

Il film è costruito in modo simmetrico e, come dice il terzo principio di Newton, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: Sophie si trucca, Hart si rade allo specchio; Sophie si infila le calze, Hart si sistema le bretelle. È la grande legge del karma che influenza profondamente la loro esistenza: causa ed effetto, azione e reazione.

La scelta delle inquadrature segue i principi di simmetria ed equilibrio, yin e yang. Ho privilegiato le inquadrature lunghe, per consentire agli attori di esplorare i propri personaggi, e i movimenti di macchina piuttosto che i tagli. I primi piani servono per enfatizzare certi passaggi. A volte le ombre precedono i personaggi, e i personaggi si muovono in squarci di luce, all’interno di spazi bui che rappresentano l’oscurità delle loro vite.

Ho tratto ispirazione da grandi film ambientati in spazi chiusi, penso ad esempio all’Overlook Hotel di Shining, poi L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais e Hotel Chevalier di Wes Anderson. I personaggi sono strettamente legati all’ambientazione, gli uni non potrebbero esistere senza l’altra – era molto importante rendere evidente questo aspetto.

 

Tre domande a… Damien O’Donnell, regista di How Was Your Day?

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How Was Your Day? è uno dei dieci cortometraggi in concorso nella categoria live action di Irish Film Festa 2016. Diretto da Damien O’Donnell e interpretato Eileen Walsh (Magdalene di Peter Mullan), il corto è tratto da un racconto di Nollaig Rowan.

La protagonista (Walsh) è emozionata per la nascita imminente del suo primo figlio, ma le cose non andranno come si aspettava.

How Was Your Day? è stato finanziato dall’Irish Film Board nell’ambito del programma Signatures; premiato come miglior cortometraggio irlandese all’IndieCork, ha appena ricevuto una candidatura agli IFTA (Irish Film and Television Academy) Awards.

 

Il corto è tratto da un racconto di Nollaig Rowan: puoi dirci qualcosa riguardo all’adattamento?

Ho scoperto il racconto di Nollaig alla radio e mi ha subito profondamente colpito per la storia raccontata e il tema affrontato, che mette in discussione il concetto di amore materno.

In due anni ho scritto cinque o sei versioni della sceneggiatura, incontrando nel frattempo vari medici e donne che si sono trovate nella stessa situazione della protagonista. Tanti dettagli che vediamo nel film sono il risultato di quelle ricerche, e alcuni piccoli cambiamenti rispetto al racconto originale sono stati necessari per ragioni pratiche, ma in generale il corto è piuttosto fedele allo spirito della storia di Nollaig.

 

Eileen Walsh affronta il ruolo con il consueto coraggio: le hai lasciato spazio per l’improvvisazione?

Eileen e io abbiamo parlato a lungo del film e dell’argomento molto prima di iniziare le riprese. La sceneggiatura era definita, ma ogni volta che abbiamo avuto la possibilità o il bisogno di improvvisare l’abbiamo fatto, e ciò ha contribuito a migliorare il prodotto finito.

 

Dove è stato girato il corto?

Abbiamo girato a Dublino e dintorni, le riprese sono durate cinque giorni.

Tre domande a… Andrew Kavanagh, regista di City of Roses

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Andrew Kavanagh è il regista di City of Roses, l’unico cortometraggio a tecnica mista (animazione e live action) in concorso all’edizione 2016 di Irish Film Festa.

City of Roses racconta la vera storia di Paddy Fitzpatrick, emigrato in Oregon da Dublino nei primi anni 50, attraverso le lettere che Paddy scriveva alla madre in Irlanda raccontandole della sua nuova vita in america, del suo nuovo lavoro e del suo nuovo amore, Rose.

Al corto di Andrew Kavanagh ha lavorato anche la graphic designer Annie Atkins, che di recente ha realizzato grafiche e oggetti di scena per il film d’animazione Boxtrolls, The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, Il ponte delle spie di Steven Spielberg, e la serie televisiva Penny Dreadful.

 

Perché hai scelto di raccontare la storia di Paddy Fitzpatrick combinando animazione e live action?

Inizialmente pensavo di realizzare un film d’animazione basato sulle lettere di Paddy, ma il mio coinvolgimento negli eventi cominciava ad occupare un parte troppo consistente della storia, in particolare dopo che ero riuscito a mettermi in contatto con la famiglia. A quel punto, il modo più semplice per far contrastare stilisticamente i due segmenti narrativi era realizzarne uno in live action e l’altro con l’animazione. Mi è stato d’aiuto avere le lettere come oggetti fisici in grado di fare da ponte e guidare così gli spettatori lungo il racconto animato. L’importanza vitale delle lettere, che rischiavano di andare perdute, viene poi sottolineata in tutto il cortometraggio anche dal punto di vista visivo.

 

puoi dirci qualcosa riguardo alla tecnica di animazione, soprattutto rispetto alla composizione degli sfondi? E qual è stato il contributo della graphic designer Annie Atkins?

Le lettere stanno alla base di tutti gli aspetti artistici del cortometraggio: le texture ricalcano la carta da lettere, i personaggi sono modellati con tratti d’inchiostro, negli sfondi compaiono timbri e francobolli, e persino le vere finestre prendono a modello le finestrelle di cellophane delle buste. Abbiamo cercato di inserire quanti più dettagli possibile presi direttamente dalle lettere, in particolare nelle scene dell’ospedale e del cimitero. E poi c’è il testo, presente praticamente in ogni scena, a volte in modo impercettibile. Avevo restituito le lettere originali a Rose prima di iniziare il film, così per le ricostruzioni usate nella parte live action mi sono dovuto basare sulle scansioni.

Per quanto riguarda il coinvolgimento di Annie Atkins, è stata una cosa del tutto casuale: giravamo le scene principali in casa di un vicino, un parrucchiere, e mentre era al lavoro sui capelli di Annie le ha parlato del film. Lei ha trovato la storia interessante e mi ha contattato. Non potevo crederci, avere lei come graphic designer era un sogno! Annie ha ricostruito le lettere fin nei minimi dettagli, realizzando a mano perfino i francobolli per ogni singola busta.

 

La musica ha grande rilievo nel film: come hai lavorato con il compositore David Harmax?

Mi ha contattato Greg Magee, che aveva composto le musiche per diversi miei film precedenti: in quel periodo lui stata lavorando con David, e mi disse che il suo stile gli sembrava adatto per questo progetto. La colonna sonora del corto si basa interamente su “Believe Me, If All Those Endearing Young Charms” di Thomas Moore, una canzone che Rose, nelle lettere, cita come una delle preferite di Paddy, una canzone che lo rendeva particolarmente nostalgico. E poiché nella prima fase del lavoro avevo pochissimi dettagli biografici su Paddy, quella canzone è diventata per me molto significativa. È una canzone d’amore e rappresenta davvero bene la storia di Paddy e Rose. Avevo bisogno di qualcuno che fosse in grado di riarrangiarla e tirarne fuori qualcosa di nuovo. Avere David è stata una fortuna: ha registrato la partitura con appena otto musicisti ma poi, lavorandoci in post produzione, è riuscito a rendere il suono molto più ampio.

 

Tre domande a… Michael Lennox, regista di Boogaloo and Graham

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Michael Lennox è il regista di Boogaloo and Graham, uno dei cortometraggi live action in concorso all’Irish Film Festa 2016. Il film ha vinto un BAFTA ed è stato candidato agli Oscar 2015 come miglior cortometraggio.

Boogaloo and Graham è la storia di Jamesy and Malachy, due fratellini che vivono a Belfast negli anni 70. Un giorno l’affettuoso papà regala loro due pulcini di cui prendersi cura…

 

L’anno scorso Boogaloo & Graham ha avuto un grande successo a livello internazionale: come hanno reagito i diversi spettatori di fronte a questa piccola storia nordirlandese?

Le reazioni sono state fantastiche. Il timore, quando si racconta una storia del genere, è che possa non essere comprensibile per tutti, ma i riscontri positivi sono andati ben oltre le nostre aspettative. È il potere del cinema.

 

Come hai scelto Riley Hamilton e Aaron Lynch, i due bambini che interpretano Jamesy e Malachy?

Ho trovato Riley Hamilton in una squadra di kick boxing nell’East Belfast. Quando si lavora con attori bambini c’è il rischio di ottenere una recitazione forzata e teatrale. Perciò volevo trovare qualcuno al di fuori del mondo della recitazione, e fare della sua inesperienza un vantaggio. Ascoltando Riley discutere con sua madre dopo una lezione, ho pensato che quel bambino possedeva proprio la naturalezza che stavo cercando. Si trovano gemme nei posti più inaspettati. Aaron Lynch invece è un giovane attore di grande talento: lui aveva già esperienza in campo cinematografico e si è rivelato quindi la controparte perfetta per aiutare il piccolo Riley come un fratello maggiore.

 

Cosa hai amato di più della sceneggiatura di Ronan Blaney?

Di Ronan amo il cuore, in ognuna delle sue storie. Non importa quale sia il soggetto, o il genere: le sue storie hanno un cuore. E poi sa infondere alla sua scrittura un umorismo nero che trovo molto divertente.

 

Tre domande a… Julien Regnard, regista di Somewhere Down the Line

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Julien Regnard è il regista di Somewhere Down the Line, uno dei cortometraggi animati che vedremo in concorso all’Irish Film Festa 2015. Il corto è prodotto nell’ambito del programma Frameworks dell’Irish Film Board, specificamente dedicato all’animazione, e in collaborazione con Cartoon Saloon (Nora Twomey, co-regista di The Secret of Kells, è coinvolta come produttrice esecutiva).

Somewhere Down the Line racconta vita, amori e dolori di un uomo attraverso gli incontri con i diversi passeggeri della sua macchina.

 

Come hai sviluppato questa storia che racconta lo scorrere del tempo?

Ho traslocato spesso negli ultimi anni, da Montpellier a Parigi a Bruxelles e infine in Irlanda, e questo mi ha fatto capire quanto fosse difficile mantenere i contatti con le persone che incontravo, e quanto brevi e fragili fossero le relazioni umane se paragonate all’infinità del tempo e dello spazio. Il corto è una metafora di questa idea, un uomo che guida lungo la strada, invecchia e si lascia alle spalle coloro che incrociano il suo cammino.

 

Come hai lavorato sull’animazione dei personaggi e la loro integrazione con gli sfondi?

L’animazione dei personaggi è stata piuttosto semplice perché sono disegnati in 2D, abbiamo usato un software che si chiama TvPaint e poi siamo passati al compositing. La parte più complicata era nell’animazione dell’automobile e degli sfondi. Abbiamo dipinto tutti i paesaggi che vediamo dai finestrani dell’auto con Photoshop per poi proiettarli su modelli 3D. Un processo simile ha riguardato gli sfondi scorrevoli: diverse viste di uno stesso paesaggio venivano proiettate su una mappa 3D. Ci è voluto un po’ per mettere tutto a punto ma il risultato è stato soddisfacente.

 

La musica ha un ruolo importante in Somewhere Down the Line: come hai lavorato con i compositori?

La musica è stata composta da 3epkano, una band specializzata in improvvisazioni dal vivo su film muti, è stato davvero interessante poter collaborare con loro. I membri del gruppo hanno creduto nel progetto fin dal nostro primo incontro: avevamo pochissimo tempo e denaro ma a loro importava solo l’aspetto artistico. Credo che abbiano fatto un lavoro straordinario, che aggiunge molto all’atmosfera generale del corto.