Tutti i film di IRISH FILM FESTA 2015

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IRISHFILMFESTA torna a Roma dal 26 al 29 marzo 2015: il festival dedicato al cinema irlandese giunge quest’anno all’ottava edizione e si terrà come di consueto alla Casa del Cinema (qui il calendario).

La sezione concorso nata nel 2010 e riservata ai cortometraggi proporrà quindici opere, divise tra live action e animazione.

Prevista anche una sezione speciale dedicata alla lingua gaelica irlandese, un Gaelic Focus con proiezione di An Bronntanas (The Gift), il thriller diretto da Tom Collins ambientato in Connemara, e del cortometraggio in competizione Rúbaí di Louise Ni Fhiannachta, entrambi recitati proprio in gaelico.

Tra i film in programma anche il drammatico, pluripremiato Patrick’s Day (2014) di Terry McMahon, tra gli ospiti del festival, con Moe Dunford nei panni di un 26enne schizofrenico che sperimenta l’amore per la prima volta; e la commedia Gold (2014) di Niall Heery con James Nesbitt, David Wilmot, Kerry Condon e Maisie Williams, su un uomo che torna a casa dopo anni e trova mutati tutti gli equilibri in famiglia.

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GOLD di Niall Heery

Ospite d’onore di IRISHFILMFESTA 2015 sarà Lenny Abrahamson, uno dei registi più amati dal festival e del quale, nel corso delle passate edizioni, è stata proposta la filmografia completa. Quest’anno vedremo il suo film più recente, Frank, con Michael Fassbender, Domhnall Gleeson e Maggie Gyllenhaal, e il suo lungometraggio d’esordio, Adam & Paul, che nel 2004 ha ne rivelato il talento e segnato la nascita del nuovo cinema irlandese. Il regista terrà alla Casa del Cinema anche una masterclass aperta al pubblico.

Il cinema del reale è rappresentato in questa edizione da tre documentari, tutti girati nel 2014: A City Dreaming di Mark McCauley, dedicato alla città di Derry e affidato alla voce narrante del popolare autore e conduttore radiotelevisivo nordirlandese Gerry Anderson, scomparso lo scorso anno; Brendan Behan – The Roaring Boy di Maurice Sweeney, nel quale l’attore Adrian Dunbar (anche lui atteso a Roma), che ha impersonato Behan molte volte a teatro, si mette in viaggio per raggiungere tutte le città dove lo scrittore ha vissuto e dove è ancora molto amato; Ballymurphy di Sean Murray, sul massacro compiuto a Belfast dall’esercito britannico nell’estate del 1971.

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A CITY DREAMING di Mark McCauley

Nello stesso anno è ambientato ’71 di Yann Demange, dove la recluta inglese Gary (Jack O’Donnell), in servizio nell’insanguinata Belfast, si trova improvvisamente solo fra le linee nemiche. Di tutt’altro genere Poison Pen, la commedia romantica diretta da Steven Benedict, Lorna Fitzsimons e Jennifer Shortall, e prodotta dal centro dublinese non-profit Filmbase, nato nel 1986 per sostenere i giovani filmmaker.

Completa il programma Song of the Sea, il film animato di Tomm Moore (già co-regista con Nora Twomey di The Secret of Kells, presentato all’IRISHFILMFESTA 2010) che ha ricevuto una nomination agli Oscar 2015.

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SONG OF THE SEA di Tomm Moore

IRISHFILMFESTA, creato e diretto da Susanna Pellis, è prodotto dall’associazione culturale Archimedia ed è realizzato in collaborazione con Irish Film Institute; con il sostegno di Culture Ireland, Irish Film Board, Turismo Irlandese, Irish Design 2015; e il patrocinio dell’Ambasciata irlandese in Italia.

Partner IRISHFILMFESTA 2015: Keough-Naughton Institute for Irish Studies, University of Notre Dame Rome Global Gateway, Jameson Irish Whiskey, Hard Rock Café Roma, IED Roma.

Media Partner: Film Tv, Wanted in Rome, Cinecittà News e affaritaliani.it

 

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Michela Giorgini Ufficio Stampa IrishFilmFesta
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Tre domande a… Ruth Meehan, regista di The Measure of a Man

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Ruth Meehan è la regista e sceneggiatrice di The Measure of a Man, uno dei cortometraggi in concorso all’Irish Film Festa 2015.

Jay Brady (Andrew Simpson, che interpretava l’amante adolescente di Cate Blanchett in Diario di uno scandalo) è un giovane uomo che cerca di superare la morte del padre, mentre si fa fare da un sarto (Ronan Wilmot) il suo primo abito su misura.

Ruth ci ha parlato del significato catartico del cortometraggio, ispirato a una storia vera.

 

Com’è stata sviluppata la sceneggiatura?

Ho scritto la sceneggiatura con mio fratello Kenneth: ad ispirarci è stata una storia raccontata dal nostro amici Gary Henderson. Gary aveva perso da poco suo padre e ci disse di aver ordinato un vestito su misura proprio da quello che era stato il sarto del padre. Per lui era stata un’esperienza catartica che l’aveva fatto sentire più vicino a suo padre.

Questo cortometraggio è stato un dono, di quelli che ti prendono per mano e ti mostrano la direzione. È stato, ed è tuttora, per tutti noi un’opera molto personale, catartica e capace di guarire il dolore. Uno dei ricordi più cari che ho conservato da un periodo davvero buio.

 

Come avete scelto gli attori Andrew Simpson e Ronan Wilmot?

In quel periodo stavo lavorando su un altro progetto con il produttore Tony Deegan: lui, a sua volta, aveva appena finito di lavorare con Andrew Simpson e ci disse quanto fosse brillante. Andrew era appena entrato nel cast di una grossa serie BBC, The Life and Adventures of Nick Nickleby, ma la storia di The Measure of Man riuscì a toccare anche lui, che aveva appena perso un caro amico. È una fortuna che abbia fatto in tempo a prendere parte al nostro corto.

Anche la scelta di Ronan Wilmot nasce dal suggerimento di un amico. Aveva la sensibilità giusta per interpretare il nostro sarto, e poi è bravissimo.

 

Dov’è stato girato The Measure of a Man?

Louis e Adrian Copeland sono due dei sarti più noti a Dublino, e siamo stati molto fortunati ad avere la possibilità di entrare nel loro laboratorio. I locali erano stati ristrutturati da poco, così ci hanno presentati a Denis Darcy, che stava per andare in pensione, e il cui studio sarebbe stato il sogno di ogni designer. Denis aveva un abito da finire con urgenza proprio nel giorno delle riprese, così ha continuato a lavorare mentre noi eravamo lì. Alcune inquadrature mostrano le sue mani mentre tagliano la stoffa, anche se ormai non sapremmo più distinguerle!

 
Un ringraziamento speciale alla produttrice Tamsin Lyons

 

Alla scoperta di Patrick’s Day, il film di Terry McMahon all’Irish Film Festa 2015

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Patrick’s Day è il film scritto e diretto da Terry McMahon che vedremo all’Irish Film Festa 2015.

Allegro ed espansivo, Patrick (Moe Dunford), è un giovane di ventisei anni affetto da schizofrenia. Grazie all’aiuto dei medicinali e alla protezione di sua madre Maura (l’attrice neozelandese Kerry Fox), il ragazzo non è una minaccia, né per sé né per gli altri. Finché non si innamora di Karen (Catherine Walker).

 

TERRY McMAHON

La sceneggiatura di Patrick’s Day nasce dalle esperienze giovanili di Terry McMahon, che per un breve periodo lavorò come apprendista infermiere in una clinica psichiatrica, restando turbato «dall’imposizione moralistica di regole di condotta sessuale su coloro che allora venivano considerati “handicappati mentali”, quando in realtà eravamo noi ad aver bisogno di prendere lezioni di umanità da quelle persone che pretendevamo di proteggere».

Patrick’s Day, girato a Dublino e Wicklow in appena diciotto giorni, è il secondo film di Terry McMahon, che ha debuttato nel 2011 con il controverso Charlie Casanova, miglior opera prima al Festival di Galway. Sempre a Galway, Patrick’s Day è stato premiato come miglior film, per poi ricevere riconoscimenti nei festival di tutto il mondo.

 

GLI ATTORI

MOE DUNFORD (PATRICK)

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Terry McMahon racconta nelle note di regia che è stato difficile trovare in un attore quella particolare «combinazione di rabbia e delicatezza propria di chi è stato a lungo represso». Poi, finalmente, ecco quello giusto: «C’era qualcosa di pericoloso nei suoi occhi ma cercava di nasconderlo. C’era forza nel suo modo di muoversi ma cercava di non darlo a vedere. C’era consapevolezza nel modo in cui stava affrontando il provino, ma senza ostentazione. Si chiama Moe Dunford, ecco il nostro Patrick».

«Terry ha lavorato nel settore della salute mentale, conosce bene la condizione di chi soffre di schizofrenia e delle loro famiglie. Per quanto riguarda Patrick, però, mi sono concentrato soprattutto sulla sua lotta per dimostrare, a dispetto della propria condizione, l’amore che prova per Karen», spiega Moe Dunford a movies.ie.

L’attore, apparso nelle serie tv The Tudors, Raw e Vikings, ha ricevuto lo Shooting Stars Award alla Berlinale 2015, un premio riservato annualmente ai giovani attori europei più promettenti.

 

KERRY FOX (MAURA)

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Racconta Terry McMahon: «Ho domandato a Rebecca (la direttrice di casting, ndr) quante possibilità avevamo di riuscire a coinvolgere qualcuno ‘come’ Kerry Fox. Ho detto ‘come’ perché pensavo a un’attrice del suo livello, non a lei in persona: sarebbe stato impossibile, no? Adoro Kerry Fox da più di vent’anni. La sua interpretazione in Un angelo alla mia tavola di Jane Campion mi aveva profondamente colpito e da allora ho visto tutti i suoi film, da Benvenuti a Sarajevo di Michael Winterbottom a Intimacy di Patrice Chéreau. Mi sembrava impossibile che potesse leggere la mia sceneggiatura, figuriamoci averla davvero nel film. Le ho scritto una lettera, Rebecca gliel’ha inviato allegando la sceneggiatura e dopo appena 24 ore Kerry Fox ha detto sì».

«Non convinci gente come Kerry Fox a salire su un aereo per prendere parte a un piccolo film irlandese – ha detto Moe Dunford in una recente intervista – a meno che non sia davvero innamorata della sceneggiatura. Non l’abbiamo mica pagata milioni».

 

CATHERINE WALKER (KAREN)

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«Terry e io siamo amici — spiega Catherine Walker a Scannain — e quando mi ha dato la sceneggiatura ho iniziato a leggerla come favore, non pensavo davvero a un ruolo. Ma più leggevo e più mi identificavo in Karen. È un personaggio interessante, forte ma bloccata dalla mancanza di autostima. Mi affascinava l’idea che Karen potesse raggiungere l’intimità con un uomo così problematico come Pratick ed entrare in connessione con lui».

Terry McMahon, da parte sua, non ha mai avuto dubbi: «Una cara amica dall’enorme talento, Catherine Walker è nata per interpretare Karen».

 

PHILIP JACKSON (FREEMAN)

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«Ho visto Scum del grande Alan Clarke — racconta Terry McMahon — ad un’età in cui i film sono dei pugni nello stomaco. La recitazione, da parte di tutto il cast, è straordinaria ma Philip Jackson nei panni di Greaves mi colpì in modo particolare e da allora, come Kerry Fox, l’ho seguito nel corso degli anni guardandolo diventare uno dei più grandi attori del mondo. Parlo spesso di Philip alle persone e, anche se il suo nome non è noto come meriterebbe, quando spiego loro dove potrebbero averlo visto finiscono sempre per dirmi quanto lo amano».

 

LA RAPPRESENTAZIONE DELLA SCHIZOFRENIA

Il mese scorso The Irish Times ha pubblicato un articolo dello psichiatra Garrett O’Connor che definisce Patrick’s Day «uno straordinario strumento educativo e terapeutico» per la comprensione sociale della schizofrenia.

Patrick’s Day «ci invita ad entrare nella vita di un uomo schizofrenico e, se ne abbiamo il coraggio, a riconoscerci in lui: in altre parole, a trovare lo ‘schizofrenico’ che è in noi – dice O’Connor – Se riusciamo a ricordare le nostre esperienze in modo completamente sincero, tutti ammetteremo probabilmente di esserci comportati, qualche volta, proprio come Patrick o come sua madre. Ma, dal momento che la maggior parte di noi non soffre di schizofrenia, abbiamo sempre trovato una via d’uscita attraverso la negazione e l’autoinganno».

La schizofrenia, spiega O’Connor, è un «disturbo che coinvolge il pensiero, le emozioni, il comportamento, e provoca percezioni errate, allucinazioni, un senso di distacco dalla società e dalle relazioni interpersonali, nonché di frammentazione mentale ed emotiva».

 

Immagini e note di regia: patricksday.ie

 

IL TRAILER

Irish Design 2015 sponsor di Irish Film Festa 2015

Irish Design 2015 sponsorizza l’edizione 2015 del concorso cortometraggi di Irish Film Festa coprendo le spese di viaggio e alloggio per i due registi vincitori.

ID2015Il programma di ID2015 nasce, con il sostegno del Governo irlandese, al fine di esplorare, promuovere e celebrare il design e i designer irlandesi attraverso eventi e attività nazionali e internazionali.

ID2015 offre ai designer irlandese un’opportunità unica per evidenziare l’importanza e l’impatto che il design ha in ogni aspetto della vita quotidiana. Eventi di primo piano, in patria e all’estero, collocheranno l’Irlanda al centro di un contesto economico internazionale creativo e capace di guardare al futuro.

Il programma di ID2015 intende favorire gli investimenti pubblici e privati nel settore del design e promuovere i talenti irlandesi in tutto il mondo.

Michael D. Higgins, Presidente d’Irlanda, è il Patron di ID2015: l’iniziativa fa parte dell’Action Plan for Jobs del Governo irlandese. ID2015 è organizzato dal Design & Crafts Council of Ireland (DCCoI), in collaborazione con varie associazioni partner, su incarico del Dipartimento del Lavoro, dell’Impresa e dell’Innovazione, del Dipartimento degli Affari Esteri e del Commercio, e di Enterprise Ireland.

Per saperne di più irishdesign2015.ie

Tre domande a… Louise Ní Fhiannachta, regista di Rúbaí

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Tra i cortometraggi in concorso all’Irish Film Festa 2015 ce n’è uno girato in lingua gaelica irlandese: si tratta di Rúbaí, diretto da Louise Ní Fhiannachta e prodotto nell’ambito di Gearrscannáin, il programma di finanziamento dell’Irish Film Board specificamente dedicato ai corti in gaelico.

Mentre i suoi compagni di classe si preparano a ricevere la Prima Comunione, Rúbaí, una bambina di otto anni (interpretata dalla piccola esordiente Doireann Ní Fhoighil), dichiara di essere atea e si rifiuta di partecipare.

Louise Ní Fhiannachta ci ha parlato delle bellissime caratteristiche della lingua irlandese e di come è stato dirigere un’attrice così giovane.

 

Rúbaí è l’unico tra i corti che presentiamo quest’anno ad essere girato in gaelico: perché hai scelto di usare questa lingua?

La sceneggiatura è stata scritta in gaelico e a me, che sono di madrelingua gaelica, è parso naturale mantenerne la forma originaria. An Ghaeilge rappresenta una parte fondamentale della mia identità e delle persone che hanno lavorato con me su Rúbaí, penso che questo si percepisca guardando il film. Il gaelico è una lingua indiretta che presenta splendide caratteristiche e sfumature.

Naturalmente la bellezza del cinema sta nel suo essere un linguaggio universale che chiunque può comprendere: malgrado le differenze culturali, le emozioni (speranza, paura, felicità…) appartengono allo stesso modo a tutti gli esseri umani.

 

Come hai lavorato sulla sceneggiatura di Antoin Beag Ó Colla?

Sono stata immediatamente catturata dal personaggio di Rúbaí, da quando ho letto la prima stesura. Rúbaí, cattolica, non vuole fare la Prima Communione ed è invece affascinata dalla teoria dell’evoluzione di Darwin. Questa bambina così indipendente e sensibile mi ha conquistato il cuore e ho capito che dovevo accompagnarla nel suo viaggio, mettere in discussione e comprendere le sue ragioni. Nella sceneggiatura di Antoin era già presente un tono umoristico che anch’io ho cercato di mantenere.

Ci siamo poi resi conto di come alcuni elementi non fossero presenti nella storia, ad esempio i motivi che spingono Rúbaí a diventare atea non venivano spiegati chiaramente.

Le prime versioni della sceneggiatura contenevano anche molti più dialoghi: sarebbe stato difficile trovare un’attrice di otto anni in grado di gestire battute così lunghe e al tempo stesso garantire un’ottima performance. Abbiamo così preferito snellire il testo tramite un processo molto rigoroso, concentrandoci sulle azioni e le emozioni piuttosto che su grossi pezzi di dialogo. Credo abbiamo funzionato!

 

Come hai scelto Doireann Ní Fhoighil per il ruolo di Rúbaí?

Tre mesi prima di iniziare le riprese, abbiamo fatto dei provini a 43 bambine e tutte mi hanno stupita con il loro talento. Ne abbiamo selezionate dieci alle quali abbiamo poi proposto un laboratorio di recitazione: per loro è stato utile e per me era bello vederle sciogliersi e acquisire fiducia in se stesse nell’arco di poche ore.

Trovare la mia Rúbaí in Doireann Ní Fhoighil è stato un dono. Sono stata immediatamente conquistata dalla sua intelligenza, dal suo spirito: è adorabile. La sua capacità di comprendere la storia e la fiducia che ha riposto in me (insieme alla sua famiglia) sono state fondamentali.

Le restanti nove bambine hanno invece interpretato le compagne di classe di Rúbaí, sono state tutte bravissime. A causa del budget ristretto abbiamo girato in appena tre giorni: era imperativo far sì che l’aspetto visivo del cortometraggio restasse semplice. Per me al primo posto c’è sempre la recitazione: sono una regista di attori! Aver avuto la possibilità di comunicare la mia visione e collaborare con una troupe così creativa e che non mi ha mai fatto mancare il proprio impegno, è qualcosa che mi riempie di gratitudine.

 

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Doireann Ní Fhoighil e Louise Ní Fhiannachta

 

Tre domande a… Anna Rodgers, regista di Novena

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Novena di Anna Rodgers è l’unico documentario tra i cortometraggi selezionati per il concorso di Irish Film Festa 2015.

Quando una donna della sua parrocchia, a Dundalk, ha parlato a Padre Michael Cusack di come il proprio figlio si sentisse rifiutato dalla comunità cattolica in quanto omosessuale, il sacerdote ha deciso di invitare due membri della comunitù LGBT, Kay Ferriter e Stephen Vaughan, a tenere un discorso durante una messa nel periodo della Novena.

«Quando abbiamo saputo di questo avvenimento, abbiamo subito deciso di documentarlo, pur non avendo una vera e propria produzione alle spalle», spiega Anna Rodgers.

 

Come e perché hai deciso di filmare le testimonianze di Kay Ferriter e Stephen Vaughan, e di usarle per un film?

Stephen Vaughan mi ha contattata con un paio di settimane d’anticipo: ci conoscevamo già perché lui è sposato con un collega di lavoro di mia madre e aveva già visto un mio documentario dedicato alle tematiche LGBT. All’inizio pensavamo di limitarci a filmare il discorso, ma poi ci siamo resi conto di quanto fosse significativo, per Stephen e Kay, aver ricevuto questo invito a parlare durante la Novena. Prima di allora non era mai accaduta una cosa del genere in Irlanda, così ho capito che valeva la pena di coinvolgere una troupe di professionisti. A quel punto non ero nemmeno sicura di farne poi un film ma sentivo che stava per accadere qualcosa di importante, e che dovevamo documentarlo.

 

Perché hai scelto la forma del cortometraggio documentario?

Sono una documentarista, per me è stato un approccio naturale. Avrei potuto registrare solo l’audio e tirarne fuori qualcosa per la radio, ma così tanti aspetti importanti di questa esperienza sarebbero andati perduti. Abbiamo cercato di rendere al meglio l’atmosfera di quel giorno, compresi i non detti. I cortometraggi documentari possono avere un forte impatto. In passato ho sperimentato anche la forma lunga, ma amo ancora raccontare storie brevi, le regole sono meno rigide e le aspettative nei confronti della narrazione sono molto diverse rispetto al lungometraggio.

 

Qual è stata la risposta del pubblico?

In Irlanda abbiamo ottenuto un riscontro straordinariamente positivo e il film ha anche vinto dei premi, ne siamo davvero grati. La realizzazione di Novena è stata resa possibile da una campagna di crowdfunding organizzata attraverso il sito Fund It: il supporto ricevuto dalla gente è stato enorme. Il film è stato poi trasmesso da RTÉ, la nostra tv pubblica, ed è stato proiettato in occasione di diversi festival ed eventi. Siamo riusciti a raggiungere un pubblico che va ben oltre la comunità LGBT, e questo è molto importante. So che a Stephen, Kay e Padre Michael Cusack sono giunte parole di lode per quello che hanno fatto e sono felice che, attraverso il film, abbiamo potuto mostrarlo anche a chi quel giorno non era presente.

 

Tre domande a… Steve Woods, regista di Keeping Time

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Steve Woods è il regista di Keeping Time, uno dei dieci cortometraggi in live action selezionati per la sezione competitiva dell’Irish Film Festa 2015.

Keeping Time è un originale progetto di cortometraggio basato sulla danza nel quale la storia non viene raccontata con le parole ma attraverso la musica e i movimenti: il ballerino e coreografo kenyano Fernando Anuang’a interpreta un operaio di una centrale elettrica che incontra degli antichi guerrieri Maasai e danza con loro mescolando i passi tradizionali alla danza moderna.

Steve ci ha raccontato del suo lavoro con Fernando Anuang’a spiegandoci cosa vuol dire girare un film sulla danza.

 

Da dove nasce l’idea per questa storia?

Sono sempre stato appassionato di storia. La storia può essere un racconto con un inizio, una parte centrale e una fine, proprio come un libro. Allo stesso tempo, però, la storia fa parte del presente. E ci sono persone il cui stile di vita appare ‘storico’, antico, agli occhi degli europei contemporanei. Proprio come i Maasai del mio cortometraggio. L’Irlanda è piena di elementi che ci ricordano il nostro passato. La storia in Irlanda è viva.

 

Come hai lavorato a fianco del coreografo Fernando Anuang’a? E la musica?

Lavorare con un coreografo è interessante. È come lavorare con un attore che è contemporaneamente sceneggiatore. Per alcuni registi è complicato girare film sulla danza ma io sono stato fortunato: forse perché mi preparo molto bene sul lavoro dei coreografi prima di collaborare con loro e so esattamente cosa chiedere ai danzatori perché li ho già visti farlo sul palcoscenico. Faccio anche molte prove con i coreografi spiegando loro dove e perché ho intenzione di posizionare la macchina da presa. Cerco innanzitutto di stabilire un rapporto di fiducia.

Per quanto riguarda il compositore, Ray Harman, una volta ha lavorato gratis per un mio film, Eternal, e il risultato è stato ottimo. Così gli avevo promesso che, se fossi riuscito ad ottenere un budget per un film basato sulla danza, lo avrei richiamato e questa volta lo avrei pagato! Amo molto il suo lavoro, Ray riesce davvero a ‘cogliere’ il film e i suoi punti di tensione. Sa dargli il giusto ritmo. Mi piace così tanto la sua musica che nel corto la ascoltiamo dall’inizio alla fine.

Ho scelto i Maasai proprio perché loro non usano strumenti musicali, nemmeno le percussioni. Così il compositore poteva davvero avere campo libero.

 

Dove è stato girato Keeping Time?

Le riprese di Keeping Time si sono svolte in due luoghi diversi, in Irlanda. A Loughcrew c’è questo monumento che ha circa 5.000 anni: è più vecchio delle piramidi e si tratta probabilmente della più antica costruzione coperta del mondo. L’altra location è la centrale elettrica che brucia la torba locale per ottenere energia. Abbiamo così due opposti, l’antico e il moderno. Che è proprio il tema del film.

 
https://vimeo.com/102068361

An Bronntanas, Patrick’s Day e Gold all’Irish Film Festa 2015

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An Bronntanas

L’Irish Film Festa torna a Roma dal 26 al 29 marzo 2015: il festival dedicato al cinema irlandese giunge quest’anno all’ottava edizione e si terrà come di consueto alla Casa del Cinema.

La sezione concorso nata nel 2010 e riservata ai cortometraggi proporrà quindici opere, divise tra live action e animazione.

L’Irish Film Festa 2015 prevede una giornata speciale dedicata alla lingua gaelica irlandese con proiezione di An Bronntanas (The Gift, 2014), il thriller diretto da Tom Collins ambientato in Connemara, e il corto in competizione Rúbaí di Louise Ní Fhiannachta, recitati proprio in gaelico.

In programma anche il drammatico, pluripremiato Patrick’s Day di Terry McMahon (2014), con Moe Dunford, nei panni di 26enne schizofrenico che sperimenta l’amore per la prima volta, Kerry Fox e Philip Jackson; e la commedia Gold di Niall Heery (2014) con James Nesbitt, David Wilmot, Kerry Condon e Maisie Williams (la giovane Arya Stark di Game of Thrones), su un uomo che torna a casa dopo anni e trova mutati tutti gli equilibri in famiglia.

Tra gli appuntamenti dell’edizione 2015 segnaliamo poi un omaggio a uno dei registi più amati dall’Irish Film Festa, Lenny Abrahamson, del quale nel corso degli anni è stata proposta la filmografia integrale.

Il programma completo e il calendario delle proiezioni saranno resi noti il 17 marzo 2015.

Tre domande a… Ciarán Dooley, regista di I’ve Been a Sweeper

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Ciarán Dooley è il giovane sceneggiatore e regista di I’ve Been a Sweeper, uno dei dieci cortometraggi in live action selezionati per la sezione competitiva dell’Irish Film Festa 2015.

Il corto, prodotto grazie a una campagna di crowdfunding, segue il protagonista — «un personaggio surreale» — durante il suo ultimo giorno di vita: lo Sweeper ci racconta così come l’attività di spazzare i pavimenti abbia influenzato la sua esistenza fin dall’infanzia.

David Rawle, il ragazzino che interpreta il giovane Sweeper nella prima parte del corto, è anche il protagonista della serie tv Moone Boy e il doppiatore del piccolo Ben in Song of the Sea di Tomm Moore.

 

Perché hai scelto la voce narrante in prima persona?

Perché volevo offrire al pubblico uno sguardo diretto all’interno della mente del protagonista, e volevo che l’aspetto narrativo e quello visivo andassero di pari passo: in questo modo abbiamo l’impressione di ascoltare i pensieri dello Sweeper in tempo reale.

 

La polvere e la luce sono elementi chiave in questa storia: come avete lavorato sul sonoro e sulla fotografia?

Trovare il materiale giusto per ricreare la polvere sullo schermo ha richiesto quattro settimane: abbiamo provato a usare vera polvere, piume, argilla, farina, cenere, fibre sintetiche e di garza. Alla fine ciò che funzionava meglio erano le particelle rilasciate nell’aria scuotendo un tessuto di canapa. La canapa è più spessa della polvere se la guardiamo a occhio nudo, ma vista attraverso la macchina da presa era visivamente molto efficace.

Per quanto riguarda il sonoro, abbiamo usato molti suoni pre-registrati. L’atto di spazzare i pavimenti doveva possedere un suono intimo e quasi surreale, così lo abbiamo aggiunto successivamente.

Diversi pub nei quali abbiamo girato sono situati nelle strade più rumorose e trafficate di Dublino, quindi abbiamo registrato i suoni in un altro luogo e poi li abbiamo sovrapposti alle immagini in post-produzione. Il sound design è stato un fattore importantissimo nel definire l’atmosfera del corto.

 

Come hai scelto Eamon Morrissey per il ruolo dello Sweeper?

Sono sempre stato un fan di Eamon, e appena la produzione è iniziata lui è stato il primo e unico attore al quale abbiamo proposto di interpretare lo Sweeper. Abbiamo scritto al suo agente e poco dopo ci siamo incontrati. Ha accettato subito. È stata una bellissima esperienza lavorare con lui: ha saputo portare tanto di sé nel ruolo, ha incarnato il personaggio alla perfezione. Non avrei potuto immaginare nessun altro!

 
https://vimeo.com/113326576

Tre domande a… Stuart Graham, regista di The Good Word

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The Good Word è uno dei cortometraggi selezionati per l’edizione 2015 di Irish Film Festa e segna il debutto alla regia dell’attore Stuart Graham.

Stuart era al festival l’anno scorso per la proiezione di Volkswagen Joe di Brian Deane, premiato come miglior cortometraggio della sezione live action.

Nel cast di The Good Word troviamo Úna Kavanagh, Conleth Hill, e Paul Kennedy (il regista di Made in Belfast, anche questo visto all’Irish Film Festa 2014 — Paul e Stuart sono i co-fondatori della casa di produzione KGB Screen) nei panni del misterioso Ivan Cutler, che predica la parola di Dio nelle townland irlandesi degli anni 50. La sceneggiatura è dello scrittore giallista Stuart Neville.

Stuart Graham ci ha parlato delle sue scelta da regista e di come The Good Word sarà presto sviluppato in un lungometraggio.

 

Anche se arriviamo a capirne pienamente il senso solo alla fine, il dialogo tra i tre personaggi occupa la maggior parte del cortometraggio: come hai lavorato sulla sceneggiatura di Stuart Neville?

Un paio d’anni fa ho stilato una lista degli scrittori nordirlandesi con i quali mi sarebbe piaciuto lavorare. Stuart Neville era in cima a quella lista e, quando ci siamo incontrati per la prima volta, abbiamo discusso soprattutto del suo romanzo Ratlines, che stiamo adattando per la televisione.

The Good Word è nato come prodotto collaterale di questa nostra prima, proficua conversazione. Quando Stuart mi ha mandato le prime diciotto pagine, la ricchezza dei dialoghi mi ha complito subito come parte di un mondo che conosco molto bene. Mi ha fatto ridere, e mi sono innamorato dei tre personaggi. È stato automatico per me mantenere uno stile di regia semplice, quasi vecchio stile, e lasciare che la forza delle parole sbocciasse grazie ai miei tre meravigliosi attori.

Lavorare con Stuart, su entrambi i progetti, è stata un’esperienza piacevole, appagante, e — è forse la cosa più importante — facile. Stuart comprende in maniera istintiva la qualità filmica del suo stesso lavoro e questo rende il processo di adattamento una vera gioia. Finora, almeno! Non abbiamo ancora finito con The Good Word: la storia continua e vorremmo svilupparla in un lungometraggio. Un piccolo indizio su quel che accadrà si trova alla fine dei titoli di coda.

 

Perché hai scelto di inserire la canzone Beautiful Isle of Somewhere nella colonna sonora?

Beautiful Isle of Somewhere è stata scritta alla fine del 19esimo secolo ma io l’ho conosciuta grazie attraverso un arrangiamento degli anni 50. Così mi è sembrata la scelta giusta. È un inno religioso, e anche in questo si adatta bene all’argomento del corto. Non voglio dire troppo, ma il brano suona volutamente gioioso e puro. E anche se la nostra storia si svolge nel nord-est dell’Irlanda, dal punto di vista tematico potrebbe essere ambientata in qualunque piccola, “bellissima” comunità rurale isolata. Traete voi le conclusioni. In più, è una canzone che mi piace molto! A questo proposito voglio ringraziare Andrew Simon McAllister che ne ha tratto due arrangiamenti fantastici.

 

Dov’è stato girato The Good Word?

Abbiamo girato nella Contea di Antrim, vicino a Ballyclare. La casa appartiene alla famiglia Todd, che è stata così carina da ospitarci. Un grande grazie anche a loro. In realtà vorrei ringraziare chiunque abbia preso parte al corto. Siamo riusciti a fare tanto, pur con risorse e tempi limitati, e non ci saremmo riusciti senza la dedizione, il duro lavoro e il talento di tutte le persone coinvolte.

Tre domande a… Aidan McAteer, regista di Deadly

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Deadly è uno dei cinque cortometraggi animati in concorso all’Irish Film Festa 2015. Scritto e diretto da Aidan McAteer, il corto racconta la storia di Boney, intrappolato in un triste lavoro, e Bridie, un’anziana donna piena di vita: una storia bellissima che parla di vita e di morte.

Deadly è stato prodotto dal Kavaleer Studio nell’ambito di Frameworks, il programma di finanziamento dell’Irish Film Board specificamente dedicato ai cortometraggi d’animazione.

Aidan ci spiega perché ha scelto di raccontare questa storia e in cosa consiste la lavorazione di un cortometraggio animato.

 

Com’è nata l’idea per questa bellissima storia?

L’idea originale viene da una lezione di sceneggiatura che ho seguito alcuni anni fa: inizialmente ruotava intorno a questo personaggio della morte che perde il lavoro. Lo immaginavo cimentarsi in altri lavori, ma tutto si riduceva a uno sketch, e neanche così originale. La storia ha pian piano cambiato direzione quando ho iniziato a vedere il mio protagonista come una persona intrappolata in un lavoro senza sbocchi («dead end job, pun inevitable», dice Aidan, ndr) e l’ho affiancato a Bridie. Ho definito così l’immagine conclusiva del corto e parallelamente ho lavorato sulla parte iniziale, poi con l’aiuto dei membri del mio studio, in particolare della produttrice Shannon George, ho messo a punto un secondo atto della storia che finalmente funzionava.

 

Puoi descriverci brevemente il processo di lavoro sull’animazione, dal disegno dei personaggi alla loro integrazione con gli sfondi?

Proprio come nei film in live action tutto parte dalla sceneggiatura, e mentre ci lavoravo passavo molto tempo anche a disegnare, per cercare di trovare i miei personaggi. Con Boney sono stato veloce, mentre per Bridey c’è voluto un po’ di più. Non è semplice fare character design per un pubblico adulto dal momento che la maggior parte del mio lavoro come animatore si rivolge ai bambini. Jean Maxime Beaupuy, che è a capo del nostro dipartimento d’animazione, mi è stato di grande aiuto.

Completati i concept design e lo script, si può preparare lo storyboard, che consiste in rapidi schizzi a matita delle azioni principali e delle varie inquadrature. A quel punto si monta una prima versione del corto utilizzando una colonna sonora provvisoria. In un film d’animazione questo montaggio preliminare è essenziale: sarebbe troppo costoso, e francamente doloroso, tagliare in seguito dei pezzi finiti. Con John Peavoy, il montatore, ho realizzato circa trenta versioni diverse prima di arrivare a quella definitiva.

Fin qui facciamo quindi ampio uso di carta e matite ma poi, almeno per Deadly, siamo passati al digitale. Era importante per me che il film mantenesse comunque un aspetto naturale, da disegno a mano. A volte il computer rischia di far apparire le cose troppo lisce e asettiche, così il nostro scenografo, Graham Corcoran, e i suoi collaboratori hanno lavorato moltissimo per far sì che gli sfondi sembrassero dipinti a mano e apparissero ricchi di texture, anche se erano stati creati con Photoshop.

Per l’animazione vera e propria abbiamo utilizzato il software Flash: in questa fase, per evitare ancora una volta un effetto meccanico e troppo fluido, la nostra artista Siobhan Twomey ha disegnato su ogni fotogramma, così che le linee restassero sempre vive e mobili. La registrazione delle voci è precedente, quindi gli animatori lavorano direttamente sul sonoro per dar vita alle performance che vediamo sullo schermo. Amber Hennigan, che si occupa del compositing, ha fuso infine le linee, le animazioni e gli sfondi di Deadly, aggiungendovi ulteriori texture e effetti speciali.

 

Brenda Fricker e Peter Coonan sono i doppiatori di Bridey e Boney: come li hai scelti?

Avevo visto Peter Coonan in alcuni cortometraggi e in una serie tv molto popolare in Irlanda, Love/Hate. Ci serviva qualcuno con l’accento di Dublino, ma oltre a questo Peter aveva proprio il tono di voce giusto per Boney, sia perché il triste mietitore è una figura mitica, sia perché il nostro triste mietitore appartiene alla classe lavoratrice, è una persona comune alle prese con i problemi della vita quotidiana.

Per Brenda Fricker ho fatto invece ciò che in genere viene sconsigliato: ho scritto la parte pensando a lei. Facevo fatica a trovare la voce di Bridey e poi ho pensato a Brenda, che ha influenzato profondamente lo sviluppo, anche grafico, del personaggio. Ci ho messo un po’ per convincerla e quando ha accettato ero felicissimo. Brenda è un’attrice fantastica e ha infuso in Bridey calore genuino, sensibilità e umanità. Mi ritengo fortunato di aver avuto al mio fianco due straordinari talenti come Peter e Brenda.