Tre domande a… Sinéad O’Loughlin, regista di Homecoming

Intervista a Sinéad O’Loughlin - Homecoming - Irish Film Festa

 
Un giovane, tornato da poco in Irlanda, è alla faticosa ricerca del suo posto nella vita. L’incontro con una persona amica gli fa sperare che qualcosa stia cambiando: Homecoming è uno dei quindici cortometraggi in concorso alla 10a edizione di Irish Film Festa (30 marzo – 2 aprile alla Casa del Cinema).

Ne abbiamo parlato con la regista Sinéad O’Loughlin.

 

Homecoming è stato girato nella contea di Wicklow: le tue scelte di regia sono state influenzate dal paesaggio?

Ho deciso fin dalle prime fasi di scrittura che la storia si sarebbe svolta nel Wicklow, perché vengo da lì, è il luogo che conosco meglio. Homecoming è il mio primo lavoro cinematografico, ho una formazione teatrale e scrivo racconti: con queste premesse, in effetti è strano che abbia scritto un cortometraggio tutto ambientato all’aria aperta!

Ho avuto la fortuna di ottenere dei finanziamenti dal Wicklow County Arts Office, che mi ha anche dato la possibilità di lavorare con il direttore della fotografia e montatore Daniel Keane. Dan ha colto subito il senso del mio progetto, l’ho capito da come ne parlava.

Volevamo mostrare la drammatica bellezza dell’ambiente rurale, ma anche, per contrasto, il duro lavoro che la terra richiede ogni giorno.

Un’altra ragione per girare a Wicklow è stata la possibilitò di usare la fattoria di mio padre come location per le riprese. Il paesaggio lì è meraviglioso e siamo stati anche piuttosto fortunati con il tempo atmosferico, che ha risposto bene alle nostre necessità. Il primo giorno, ad esempio, c’era questa nebbiolina fantastica e Dan ne ha approfittato cominciando immediatamente a girare quella che poi sarebbe diventata l’inquadratura iniziale del corto.

 

I dialoghi sono molto importanti nel film: ci racconti qualcosa del tuo processo di scrittura?

Amo il modo in cui noi irlandesi parliamo, le espressioni che usiamo, il nostro ritmo. Parto sempre dai dialoghi, anche quando scrivo racconti.

Homecoming è nato come testo teatrale composto da un solo atto: si intitolava Wake e l’ho scritto all’università nel 2009. Si trattava sostanzialmente di una conversazione tra Mick e Aoife in seguito a un lutto: Aoife sta per andare al college mentre Mick sta pensando di partire per l’Australia.

Amo molto anche gli adattamenti, così quando si è presentata la possibilità di realizzare un cortometraggio, ho pensato: perché non tornare dagli stessi personaggi, otto anni dopo, e vedere cosa è successo? Il tempo è passato, le loro vite hanno preso strade diverse, ma questo nuovo incontro li fa scoprire ancora molto legati alle proprie radici e al passato. Ero consapevole dell’importanza dei dialoghi, ci ho riflettuto molto. Così tanto che quando finalmente mi sono messa a scrivere, la prima bozza completa è venuta fuori di getto. Non mi era mai capitato prima.

A quella prima stesura è seguito un lungo lavoro di revisione, per togliere tutto il superfluo. La scrittura per i cortometraggi in questo senso è un esercizio utilissimo, Dan poi è stato irremovibile sulla durata del film e gli sono grata per questo. Anche perché, al cinema, bisogna lasciare spazio agli aspetti visivi e alle interpretazioni degli attori non si può essere troppo attaccati alla propria scrittura.

Tu, come autore, scrivi un dialogo in un certo modo, lo dirigi in un certo modo, ma poi gli attori possono introdurvi elementi completamente nuovi, ed è fantastico. Varie battute sono state riscritte direttamente sul set, se al momento di recitarle non suonavano abbastanza credibili. Volevo che tutto suonasse naturale, anche nella forma. E gli attori sono stati bravissimi. C’erano delle battute, in sceneggiatura, che non mi sembravano così importanti, e che invece ora sono le mie preferite proprio per come David Greene e Johanna O’Brien le hanno fatte proprie.

 

L’emigrazione sembra essere ancora una questione delicata in Irlanda.

Sì, ed è strano perché oggi spostarsi è molto più semplice, le persone vanno e vengono, è più facile mantenersi in contatto grazie a Internet, ma l’assenza di chi è andato via si percepisce ancora molto forte, soprattutto nei piccoli paesi. Io stessa ho un fratello che vive in Australia e una sorella nel Regno Unito. Tra l’altro mio fratello era tornato a casa, per poi partire di nuovo dopo un anno, proprio un paio di settimane prima che iniziassi a girare Homecoming. Confrontarmi con lui è stato fondamentale per la scrittura di Homecoming, anche considerando che lui ha sei anni meno di me e quindi le sue esprienze sono diverse dalle mie. Ho anche preso in prestito i suoi vestiti per David!

Io stesso sono emigrata in Canada per un periodo ma non mi trovavo bene. Sono partita nel 2007 e tornata l’anno successivo, quando le cose in Irlanda iniziavano a non andare bene economicamente: io tornavo e tutti gli altri si preparavano ad andarsene! È frustrante, senti la pressione di dover lasciare il tuo paese, e ascolti le storie di chi ce l’ha fatta, e di come la qualità della vita là sia migliore. Attraverso il film ho voluto esplorare proprio queste senzasioni. Nel caso di Aoife, lei se n’è andata per costruire una nuova vita e scappare dal dolore, ma si porta dentro la preoccupazione per la madre; Mick invece prova una profonda frustrazione, perché è rimasto indietro e se ne rende conto.